Cronaca

I minori delinquono di meno: dimezzati gli omicidi. In calo anche furti e rapine 

Diminuiscono i reati e sono in calo anche i detenuti: il sistema della giustizia minorile – dove la prescrizione appare “irrilevante” – funziona. È quanto emerge dal rapporto pubblicato oggi dall’associazione Antigone, la quale rileva che “mentre nel sistema penitenziario degli adulti si assiste all’apparente controsenso di una crescita della popolazione detenuta congiunta a una decrescita degli indici di delittuosità, nella giustizia penale minorile vi è maggiore coerenza”.

I minori delinquono meno rispetto a cinque anni fa: calano gli omicidi di quasi il 50%, ma anche furti e rapine di circa il 15%. Fra il 2014 e il 2018 le segnalazioni da parte delle forze di polizia all’autorità giudiziaria riguardanti i delitti commessi da minori sono diminuite dell’8,3%, passando da oltre 33.300 nel 2014 a 30.600 nel 2018. 

Fra i delitti calano gli omicidi volontari (-46,6%) e colposi (-45,4%), i sequestri di persona (-17,2%), i furti (-14,03%), le rapine (-3,9%) e l’associazione per delinquere (82,5%). In calo anche i detenuti negli istituti di pena minorili (Ipm), con 375 minori e giovani adulti presenti (6,1% sono ragazze).

Al 15 gennaio scorso, i 375 minori e giovani adulti detenuti erano distribuiti in 17 istituti, da Caltanissetta a Treviso, in strutture con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro. Quello con più presenze era Nisida, che ospitava 45 detenuti, mentre alla stessa data a Caltanissetta ce n’erano solo 3. In tutta Italia quel giorno erano detenute 23 ragazze, 12 delle quali a Pontremoli, nell’unico istituto penale per minorenni interamente femminile d’Italia.

Raramente le presenze sono scese sotto le 400 unità (dunque il dato attuale è un dato quasi eccezionale) e raramente sono salite sopra le 500. La permanenza dei ragazzi negli Ipm è generalmente breve: in media 102 giorni nel 2019, poco più di tre mesi. Nel corso dello scorso anno, il 72% dei ragazzi entrati in Ipm era in custodia cautelare.

Nella maggior parte dei casi arrivano negli istituti minorili dalle comunità di accoglienza, ed è verso le comunità che è diretta quasi la metà delle persone che escono. Solo il 10,3% dei ragazzi che escono dagli Ipm lo fa perché ha finito di scontarvi la propria pena, mentre l’11’8% viene trasferito verso strutture per adulti, perché ha superato il limite di età per restare nel sistema della giustizia minorile, per volontà propria (una volta oltrepassati i 21 anni) o a causa di una refrattarietà alla vita interna dell’istituto.

Al 15 gennaio 2020 i ragazzi in comunità erano 1.104: quelli provenienti dall’area penale sono una piccola minoranza, ma la loro presenza è però quasi raddoppiata negli ultimi 10 anni, e questi numeri – osserva Antigone – hanno fatto del sistema delle comunità un asse portate del sistema della giustizia minorile nel nostro paese.

La maggioranza dei ragazzi entra in comunità in misura cautelare e circa il 20% di coloro che entrano in comunità lo fa nell’ambito di un progetto di messa alla prova: nel primo semestre del 2019 sono stati 2.382 i provvedimenti di messa alla prova, mentre erano stati 3.653 in tutto il 2018. L’istituto non rappresenta solo una alternativa al carcere, ma allo stesso processo, che viene sospeso durante la misura: la maggior parte degli esiti – circa l’82% – è stato positivo. 

Gli imputati minorenni sono per il 70% italiani e per il 30% stranieri. Oltre l’84% sono maschi e meno del 16% femmine (sia per gli italiani che per gli stranieri): il 30,5% degli imputati maschi ha fra i 14 e i 15 anni, il 69,5% ne ha 16 o 17. Il 70% dei delitti quindi è commesso da italiani, che però rappresentano il 57,1% dei detenuti negli istituti di pena per minori. La Lombardia è la regione con il maggior numero di segnalazioni riguardanti minorenni (5.393), seguita dalla Sicilia (3.326) e dall’Emilia-Romagna (3.154).

Gli indici di delittuosità dei minori presentano valori tendenzialmente superiori alla media nazionale nelle regioni del Nord Italia e valori più bassi della media nelle regioni del Sud: i dati, osserva Antigone, vanno contro tutti gli stereotipi, visto che ben il 40% degli imputati italiani è nato nel Nord Italia (il 21% nel Nord-Ovest e il 18% nel Nord-Est), il 25% è nato nel Sud, il 19% nel Centro Italia e il 16% nelle Isole.

Inoltre, si registra un altissimo numero di archiviazioni: i condannati con sentenza irrevocabile nel 2017 sono stati 1.128, mentre nello stesso anno i minori indagati presso le procure erano 36.416. Nella maggior parte dei casi (22,14%) il pm ha esercitato anticipatamente l’azione penale, chiedendo al giudice, nel corso delle indagini preliminari, di pronunciarsi con una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.
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L’associazione Antigone lancia però un appello: “Preoccupa la crescita, rispetto al 2014, dei minori segnalati per associazione di tipo mafiosa” con una percentuale del +93,8%: erano 49 nel 2014, sono diventati 95 nel 2018. 

Nel dossier si evidenzia poi che “i reati contro la persona, quelli generalmente più gravi, riguardano solo il 17% di chi entra” negli istituti di pena minorili, mentre “il 62% ha commesso reati contro il patrimonio”. 

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