Michele Spatari / NurPhoto
Matteo Salvini (AFP)
Un giro vorticoso di procure. Il caso Diciotti ha ‘ballato’ per mesi, tra Agrigento, Palermo e Catania. L’inchiesta aperta in un caldissimo agosto siciliano dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, salito a bordo del pattugliatore della Guardia costiera ormeggiata nel porto etneo, per una clamorosa ispezione con mascherina, guanti e calzari usa e getta, aveva avuto il suo culmine il 25 agosto con l’iscrizione del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, nel registro degli indagati per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Il 5 settembre il fascicolo era stato spedito alla procura di Palermo perché lo girasse al Tribunale dei ministri; cosa avvenuta due giorni dopo, con l’ufficio guidato da Francesco Lo Voi che contestava il reato di sequestro di persona aggravato dalla presenza di minori.
Il collegio il 18 ottobre, dopo 41 giorni sui 90 a disposizione, aveva depositato il provvedimento con cui dichiarava la propria incompetenza territoriale. Gli atti erano stati trasmessi alla procura di Palermo perché li inviasse al corrispondente ufficio di Catania. Cosa avvenuta nelle ore immediatamente successive. Dopo una dozzina di giorni, adesso Zuccaro ha inviato le carte al Tribunale dei ministri di Catania “con motivata richiesta di archiviazione”, come reso noto oggi in diretta Facebook dal titolare del Viminale: “Da persona libera torno al mio lavoro”.
Una crisi durata cinque giorni
I migranti al centro della disputa erano stati soccorsi il 16 agosto nel Mediterraneo centrale e tenuti a bordo per dieci giorni sulla nave della Guardia costiera “Diciotti”, a cui era stato indicato come ‘scalo tecnico’ il porto di Catania dove è rimasta ormeggiata per cinque giorni senza che gli stranieri potessero scendere. Il collegio di Palermo, con funzioni paragonabili al vecchio giudice istruttore, ha svolto indagini, sentendo funzionari del Viminale e ufficiali della Guardia Costiera. E avevano ritenuto che il reato più grave, come emerso dalle carte, e cioè il sequestro di persona, fosse avvenuto nel porto di Catania, dunque nella seconda fase della vicenda riguardante la nave Diciotti: il trattenimento a bordo dei migranti sarebbe iniziato infatti non a Lampedusa (come ritenuto invece dal procuratore Patronaggio), quando alla nave era stato consentito solo di far sbarcare un gruppo in precarie condizioni, bensì quando il natante della Guardia costiera era giunto nel porto in cui aveva avuto il permesso di entrare e a 170 migranti era stato impedito di scendere a terra. Era, cioè, a Catania, una volta che la Diciotti era stata ormeggiata, dal 20 al 25 agosto, che effettivamente c’era la possibilità di “liberarsi” da quello che, secondo i giudici, equivale a un sequestro di persona. I migranti vennero fatti scendere proprio la notte del 25 agosto: finiva un’odissea umana e mediatica e iniziava quella giudiziaria.
Il passaggio tecnico della declaratoria di incompetenza territoriale, ha comportato la trasmissione degli atti alla procura di Palermo, perché li inviasse, come avvenuto, all’ufficio omologo del capoluogo etneo. Ora la trasmissione da parte di Zuccaro degli atti al Tribunale dei ministri di Catania con la proposta di archiviazione, sui cui l’organismo avrà a disposizione altri 90 giorni per pronunciarsi, svolgendo tutte le indagini che riterrà necessarie.
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