Cronaca

I mali dell’Europa che va alle urne spiegati dai direttori dei giornali

futuro media Dogliani

Facebook / Festival di Dogliani

Un’immagine dal Festival della Tv di Dogliani

Lo scenario europeo che uscirà dalle urne del 26 maggio non vedrà probabilmente la prevalenza dei sovranisti ma sarà comunque molto fragile. Questo in sintesi quanto emerso oggi dal confronto al Festival della Tv e dei nuovi media di Dogliani tra i direttori dei principali quotidiani italiani moderati da Sarah Varetto, di Sky.

“Il meccanismo di inclusione che aveva caratterizzato la storia degli Stati dal dopoguerra – ha spiegato Marco Damilano, direttore de L’Espresso – si è inceppato. A fine anni 90 c’era ancora la corsa a fare parte dell’Unione europea da parte di chi oggi ne vuole invece smantellare le strutture. Oggi vince chi si autoesclude e poiché tanti si sentono esclusi chiedono alle forze politiche di interpretare questa esclusione”.

“Democrazia, diritti e doveri, Europa sono conquiste quotidiane – ha osservato ancora – e, se non le vivi così, le lasci in mano a chi se ne impossessa per smantellare tutto”. Punta il dito sulle “tante responsabilità europee” il direttore de Il Sole 24 Ore” Fabio Tamburini: “siamo abituati a considerarci l’ombelico del mondo ma non è più così da tempo: Stati Uniti, Cina e Russia premono e l’Europa assomiglia sempre di più all’Impero romano in discesa”.

Tra le cause vi è certamente “la mancanza di leadership” segnalata nei diversi interventi, anche se l’opinione comune pare essere che il quadro che uscirà dalle prossime elezioni non muterà molto ma “sarà necessaria – come ha spiegato Luciano Fontana, direttore del Corriere della sera – un’operazione di ricostruzione del progetto europeo probabilmente anche lunga, ripartendo dalla partecipazione, dalla formazione di una nuova classe dirigente”.

E’ in questo senso il direttore di Avvenire Marco Tarquinio guarda ai giovani e cita a questo proposito recenti dati secondo i quali la fiducia nelle istituzioni italiane è pari al 32% e verso quelle europee al 44%. “I giovani sembrano capire meglio questa Europa – osserva – che non la politica italiana”. Comunque vadano le elezioni, hanno rilevato ancora gli intervenuti all’incontro di Dogliani, il quadro italiano non sembra uscirne bene: “ci siamo dimostrati un partner inaffidabile – ha detto Carlo Verdelli de La Repubblica – questo governo ha cercato di fare la voce grossa ma è la voce grossa delle pulci. Qualsiasi cosa succeda dopo le elezioni resta un dato ineliminabile: non abbiamo fatto i compiti e qualcuno dovrà pagare il conto. L’Europa ci presenterà il conto e lo pagheremo noi italiani dopo il voto”.

Prevede “tempi duri” anche Lucia Annunziata, che ribadisce che non bisogna “cavalcare il cavallo di ‘Europa o morte’ ma si votino soluzioni compatibili con il prossimo passo di sviluppo europeo”. Il direttore de La Stampa Maurizio Molinari dopo aver evidenziato “il maggior elemento di vulnerabilità di questa campagna elettorale, ossia attori esterni che intervengono sui social network per influenzare i comportamenti degli elettori” ha indicato quale può essere la risposta “in chiave europea” alle diverse emergenze: “Per disuguaglianze, migranti, digitale la risposta sono i diritti. Più diritti, più doveri”.

Che ne sarà delle agenzie

L’evoluzione che interessa il settore dell’informazione, caratterizzato da una fruibilità sempre più veloce, dalla presenza delle nuove tecnologie sempre più insistente, coinvolge ormai fortemente anche un media tradizionale come le agenzie di stampa le cui origini risalgono all’800.

Un’evoluzione che però non deve stravolgere quella che è la mission delle agenzie: credibilità, attendibilità e verità, come è emerso dal confronto tra Marco Pratellesi, condirettore Agi, Gian Marco Chiocci direttore Adnkronos e Vittorio Oreggia direttore de LaPresse.

“Le agenzie di stampa – ha detto Marco Pratellesi – erano nate per aiutare gli editori a fare i giornali fornendo notizie da tutto il mondo. Oggi quel ruolo non è più sufficiente perché Facebook e Twitter permettono di bypassare la funzione di intermediazione che il giornalista svolgeva tra la fonte e il pubblico: questo è un cambiamento epocale che ci impone di ripensare tempi e processi propri della professione”.

“Tuttavia la notizia deve sempre essere verificata coniugando velocità e approfondimento. Per evitare che i giornalisti si trasformino in semplici megafoni delle dichiarazioni dei politici sui social media diventa sempre più importante il fact-checking, che in Agi abbiamo fatto diventare una pratica quotidiana da quasi tre anni. Grazie a questa esperienza, con Agcom e Fieg stiamo lavorando a un progetto di fact-checking collaborativo che coinvolge altre agenzie e editori di giornali e tv in modo da rafforzare il piuùpossibile la verifica delle notizie e il controllo e la smentita delle tante fake news che circolano su Internet”.

Per Gianmarco Chiocci “come mezzo l’agenzia durerà ancora a lungo ma dovrà modificare il suo modo di funzionare. I giornalisti dovranno essere capaci non solo di cercare notizie anziché limitarsi ad aspettarle, ed è quello che come Adnkronos stiamo facendo, ma anche di interfacciarsi con i clienti finali, utilizzando tutti i mezzi che le nuove tecnologie mettono a disposizione. Inoltre bisogna essere consapevoli che l’agenzia del futuro non potrà occuparsi di tutto, perché in questo modo il rischio è di fare un’informazione scadente, ma essere capace di diversificarsi anche settorializzandosi”.

“Tutto il settore sta vivendo un momento difficile – ha osservato Vittorio Oreggia – e per rendersene conto basta leggere i dati di vendita dei giornali, e le difficoltà non risparmiano neppure le agenzie di stampa. La gente ha sempre meno voglia di leggere e preferisce guardare. Ecco perché alle notizie viene chiesto sempre più spesso un supporto video. Le agenzie – ha concluso – se sapranno trovare un nuovo modo di comunicare continueranno ad esistere perché restano base fondamentale per giornali e tv ma declinate in un’altra dimensione, riposizionandosi con il multimediale”.

E il servizio pubblico?

L’appuntamento di Dogliani è stato ancghe occasione per parlare di televisione. “Io voglio una Rai sempre più rapida, veloce meno immobile, che guarda al futuro consapevole di quello che sta accadendo nel settore, in grado di innovare e rischiare di più. Una Rai che guarda ai più giovani, dobbiamo recuperare coloro che abbiano dimenticato come spettatori e consumatori di contenuti” ha detto l’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini . “Il servizio pubblico – ha aggiunto – deve avere la capacità di raggiungere e parlare a tutti. Il vulnus è che negli ultimi anni il pubblico più giovane ha preferito altre forme di produzione audiovisiva”. Per Salini “Oggi l’azienda deve riportare il contenuto al centro della sua mission spostando la produzione di questo contenuto dalle reti alla direzione di genere Io credo che il nuovo modello organizzativo ci aiuterà a riportare creatività e innovazione all’interno della Rai”.

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