Cronaca

Cosa succede di notte nelle celle di un campo di detenzione in Libia. Un racconto

Cosa succede di notte nelle celle di un campo di detenzione in Libia. Un racconto

“Nour ha disegnato su un foglio di carta le celle e le quattro porte blindate. Celle separate per uomini e donne. E ha raccontato di come ogni sera le donne venivano prese e portate nella cella dopo la terza porta blindata. Quattro uomini ogni donna. Quattro miliziani libici per ogni prigioniera somala, o eritrea. E ogni sera venivano violentate e stuprate ripetutamente. Da quattro sconosciuti. Ogni sera. Per più di un anno. E quando una di loro rimaneva incinta veniva portata nello stesso posto e presa a calci. Fino all’aborto e oltre. Fino a quando il feto non veniva fuori dal corpo della donna”.

Questa è una delle terribili testimonianze raccolte dagli operatori di Mediterranean Hope, programma per rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, che vivono a Lampedusa e mantengono attivo un Osservatorio che svolge un lavoro di primissima accoglienza e mediazione con i migranti.

Frammenti di vita e di orrore riportati da Nev-notizie evangeliche. La testimonianza di Nour è stata raccolta nei giorni scorsi; la ragazza è arrivata a Lampedusa con lo sbarco del 13 ottobre. Sull’isola i migranti continuano ad arrivare in piccoli gruppi e con barchette di legno, per lo più tunisini. Mentre il viaggio dalla Libia sembra aver preso nuove modalità, con molti trasbordi tra barche piccole e più grandi fino all’arrivo in acque internazionali, come racconta Imad, anche lui arrivato il 13 ottobre: “2700 dollari per il viaggio dall’Egitto a Lampedusa, comprensivo di viaggi in camion e in barca. La detenzione prima in una casa e poi in una sorta di campo profughi”.

Le violenze e la fame

E poi il viaggio, affrontato con altre 33 persone, provenienti da Libano, Egitto, Somalia, Eritrea, su una barca piccola che li ha caricati su una nave e scaricati a 5 ore dalle coste di Lampedusa per permettergli di raggiungere autonomamente la costa. Le persone più scure venivano fatte stare nella stiva mentre egiziani e libici potevano restare sul ponte. I migranti nell’hotspot dell’isola spesso riescono ad arrivare in paese e Mediterranean Hope mette a loro disposizione un Internet point per contattare i familiari e rassicurarli comunicando il proprio arrivo.

Abdi, invece, è partito dall’Eritrea, ha attraversato l’Etiopia e poi passando dal Sud Sudan è arrivato in Libia dove ha passato un anno e sette mesi in un luogo chiuso e angusto, venendo picchiato tutti i giorni dai ‘Gangsterman’, fino a quando gli hanno fatto chiamare la madre, in Eritrea, chiedendole 11 mila dollari per il riscatto. Solo dopo aver pagato è stato imbarcato ed è arrivato a Lampedusa. Zakaria viene da Asmara ed è arrivato in Libia attraverso il Sudan. Lì è rimasto per due anni in prigione, venendo spostato di città in città, fino all’imbarco, al viaggio e allo sbarco a Lampedusa. Marta Bernardini, che coordina il programma MH sull’isola afferma che “queste storie, piene di brutalità e violazioni dei diritti degli esseri umani dimostrano una volta di più che si deve lavorare per creare dei passaggi sicuri per chi fugge da guerre e povertà, che i corridoi umanitari sono una soluzione possibile per contrastare il cinismo dei trafficanti, della politica che ha chiuso ogni via legale di accesso in Italia e in Europa, e l’egoismo di chi invoca frontiere chiuse e blocchi navali”.

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