Cronaca

Un migrante si lancia in mare e annega. Cosa succede sulla Moby Zazà?

La nave Moby Zazà, che per il governo avrebbe dovuto essere un luogo sicuro per i migranti posti in quarantena al largo di Porto Empedocle, in Sicilia, non sembra più tale. La scorsa notte un migrante tunisino di 28 anni è caduto in mare, ed è annegato.

L’allarme è scattato alle 4.15 del mattino, dato da alcuni migranti. L’uomo sarebbe morto pochi minuti dopo essere finito in acqua, sebbene indossasse il giubbotto di salvataggio, un particolare, si apprende da fonti giudiziarie, che fa cadere l’ipotesi di un suicidio, emersa nelle prime fasi della ricostruzione dei fatti.

Sulla vicenda la Procura della Repubblica di Agrigento, con a capo Luigi Patronaggio, ha aperto un’inchiesta, affidata al pm Sara Varazi, delegando per le indagini la Guardia di Finanza. Il migrante si era lanciato dal ponte “6”, da un’altezza di circa 15 metri, e il mare in tempesta non gli ha lasciato scampo.

Le motovedette di Guardia di Finanza e Capitaneria, che per tutta la giornata non hanno diramato alcun comunicato sulla vicenda, lo hanno recuperato alle 5 del mattino a due miglia dalla spiaggia di San Leone.

Poche ore prima era stata evacuata dalla nave una donna di 32 anni, perchè in condizioni di stress. ​La Moby Zazà, nave per la quarantena, è in rada a Porto Empedocle con 121 migranti a bordo distinti in due gruppi di 53 e 68. 

Il ragazzo morto “è la prima vittima di una delle misure illogiche intraprese dal governo italiano che si sono tramutate in strumenti inutili e lesivi dei diritti delle persone soccorse”, hanno denunciato le Ong Sea-Watch, Medici Senza Frontiere, Open Arms e Mediterranea.

“Il decreto che dispone l’utilizzo di navi private messe a disposizione dal governo per espletare l’obbligo di quarantena – spiegano in un comunicato congiunto – è diretta conseguenza di quello del 7 aprile scorso, con il quale l’Italia ha dichiarato non sicuri i suoi porti. Abbiamo già sottoposto le nostre perplessità sul dispositivo delle navi quarantena alle autorità competenti, chiedendo di sapere su quali basi giuridiche si fondi il procrastinato sbarco dei naufraghi che potrebbero espletare le misure di quarantena a terra. 

Anche prima di questo tragico episodio, altre recenti incongruenze e prove di forza inaccettabili sulla pelle delle persone soccorse hanno messo in evidenza l’inadeguatezza delle misure adottate dal governo in tema di soccorso in mare durante l’emergenza Covid-19″.

 “Le navi quarantena – sottolinea ancora Open Arms – non garantiscono la salute fisica e psichica di persone già provate dalla violenza e dal naufragio ma rischiano di ricreare le condizioni perché rivivano eventi traumatici e ricordi dolorosi. Ogni essere umano ha diritto alla tutela della vita e della dignità, è stato scelto ancora una volta di guardarli morire”.

“La trovata di realizzare una sorta di hotspot galleggiante – ha affermato dall canto suo Riccardo Magi, parlamentare di Più Europa  Radicali –  impiegando la Moby Zazà e ancora prima la nave Rubattino, oltre a comportare lo sperpero di ingenti risorse pubbliche non sembra rispettare le norme nazionali e internazionali sulle procedure finalizzate all’identificazione e alla eventuale richiesta di protezione. Tenere per settimane su una nave chi ha trascorso giorni in mare su imbarcazioni di fortuna ed è scampato a un naufragio è da sadici e l’emergenza sanitaria non lo giustifica”.

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