Cronaca

Gli ‘Scappati’ alla furia di Riina e quel ponte New York-Palermo che non è mai crollato

Mafia Palermo new york Scappati

SPENCER PLATT / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Il luogo in cui è stato ucciso Francesco Calì della famiglia mafiosa Gambino

Un omicidio a marzo aveva scosso la mafia di New York e fatto sobbalzare quella dell’altra parte dell’oceano. Era stato ucciso un pezzo da novanta, Frank Calì, capo della famiglia mafiosa dei Gambino, ambasciatore, mediatore, ponte fra Cosa Nostra siciliana e la mafia americana.

Già undici anni fa, l’inchiesta “Old Bridge“, scattata tra Italia e Stati Uniti nel febbraio 2008, aveva indicato in ‘Franky Boy’, ammazzato davanti alla sua casa di Staten Island, l’esponente di spicco dei Gambino, rivelando che i legami e gli affari non si erano mai interrotti.

Neppure dopo quel delitto e la ricomposizione dei nuovi equilibri della potente Gambino Crime Family di New York, come dimostra l’operazione di di polizia di Stato e Fbi, battezzata non a caso “New Connection“.

Una indagine complessa che ha rivelato, dopo il ritorno, l’attivismo in grande stile degli Inzerillo, anche loro tra gli ‘Scappati‘ dopo la guerra di mafia degli anni ’80 per sfuggire alla furia corleonese.

Tra gli arrestati  proprio i boss di Passo di Rigano, Francesco e Tommaso Inzerillo, “u truttaturi” e “u muscuni”, fratello e cugino di Totuccio, il re del traffico internazionale di droga che nel 1981 Riina volle morto.

Nomi pesanti, da sempre; inseriti già nell’ordinanza del processo Spatola firmata nel 1980 dal giudice istruttore Giovanni Falcone. Più recentemente Settimo Mineo, il gioielliere catturato a dicembre 2018 nell’operazione “Cupola 2.0”, indicato come il capo della ricostituita Commissione provinciale, voleva coinvolgerli nel processo di rifondazione, ma erano rimasti defilati, ancorati al loro potere e ai loro affari piantati saldamente su un pezzo strategico di Palermo, pronti a riprendersi al momento opportuno lo scettro strappatogli con il sangue da Riina che aveva deciso di sterminare i ‘perdenti’. Sovrani (auto) designati di Cosa nostra, in una sorta di oscuro e inquietante ‘ritorno al futuro’.

Dietro il paravento di una fiorente e redditizia attività di commercializzazione di frutta, gli ‘americani’ nascondevano, spiegavano i magistrati, la vera occupazione: quella di gestori di una serie di traffici illeciti, nuovi affari e vantaggiose relazioni.

Dai vertici dei Gambino andavano i mafiosi partiti da Palermo, come Nicola Mandalà e Gianni Nicchi. I loro contatti americani erano Pietro Inzerillo e il cognato, appunto ‘Franky Boy’. “Frank Calì è amico nostro”, raccontava il 21 ottobre 2005 l’emergente Nicchi al suo capo Nino Rotolo. E nella conversazione intercettata nel capanno in lamiera di Rotolo, il giovane boss usava un’espressione che secondo chi indagava era molto significativa: “E’ il tutto di là”. La polizia italiana ritrovò pure alcune foto di Nicchi, Mandalà, Calì e delle fidanzate dei due mafiosi palermitani.

I rapporti con i Gambino e con La Cosa nostra americana, ritengono dunque gli inquirenti, non sono mai cessati, sin dai tempi di “Iron Tower” e dell’operazione “Romano-Adamita”, che avevano evidenziato i collegamenti tra i Gambino, gli Inzerillo, gli Spatola e i Mannino, perdenti in Sicilia, ma non negli Usa, dove avevano ripiegato si dedicavano al traffico internazionale di stupefacenti.

E proprio per questo i boss Lo Piccolo garantirono appoggio e consentirono a Sarino Inzerillo di tornare a Palermo con una sorta di ‘mandato esplorativo’, per riprendere i vecchi contatti.

Contatti che i ‘torrettesi’, dal loro punto di vista, non avevano mai perso: Calì si era offeso per essere stato escluso da alcuni lavori edili realizzati negli Usa da un nipote di Salvatore Badalamenti, molto vicino al boss di Torretta, paese in provincia di Palermo, Vincenzo Brusca.

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SPENCER PLATT / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Il luogo in cui è stato ucciso Francesco Calì della famiglia mafiosa Gambino

E il capomafia aveva rassicurarto Badalamenti: “Ci penso io, per ‘u Franki, lo raccomando io, per altri lavori edili”. Insomma da tempo chi indaga aveva registrato la ripresa febbrile dei rapporti.

Tra la fine del 2003 e il 2004 i giovani rampanti mafiosi siciliani, in rappresentanza di più famiglie e mandamenti, andarono negli States, per organizzare un nuovo e imponente traffico di stupefacenti, per riprendere le tradizioni delle joint-venture di successo già sperimentate negli anni ’80 e ’90.

Sui rapporti con gli Stati Uniti e ‘La Cosa nostra’ americana, le posizioni erano diverse, perché a esempio Salvatore Lo Piccolo, il capocosca arrestato il 5 novembre 2007, puntava a recuperare un rapporto costruttivo anche con i cosiddetti ‘Scappati’ costretti all’esilio.

Altri capimafia (su tutti Nino Rotolo) osteggiavano qualsiasi ipotesi di riconciliazione, temendo di poter incappare nelle vendette di coloro che erano stati decimati (‘Ci scippano la testa’, osservava il boss di Pagliarelli durante conversazioni intercettate). Da qui l’assenza di Gianni Nicchi al secondo viaggio compiuto da Mandalà negli Usa, nel 2004, e la sostituzione da parte di Rotolo dei reggenti di alcuni mandamenti di Palermo, a cominciare da quello, di importanza strategica, di Passo di Rigano-Boccadifalco, con uomini di sua fiducia.

Secondo quanto emerso, i contatti negli Usa erano stati riallacciati con alcuni esponenti di primo piano di Cosa nostra, tra cui gli appartenenti alle famiglie Inzerillo-Gambino, ritenute dall’Fbi inserite nel traffico internazionale di stupefacenti. I contrasti sull’opportunità di coinvolgere nella nuova joint-venture, in particolare i parenti del boss di Uditore assassinato l’11 maggio 1981, Totuccio Inzerillo, sono durati a lungo ed erano emersi nell’ambito dell’operazione ‘Gotha’ del 20 giugno 2006, di cui il nuovo blitz della polizia è una prosecuzione naturale.

Nel corso di quell’indagine era stato accertato che Bernardo Provenzano aveva preferito mantenersi su una posizione ambigua, che gli consentiva di non schierarsi né dall’una né dall’altra parte. Una volta arrestati lo stesso Binu, Rotolo, gli altri due componenti della triade (Nino Cinà e Franco Bonura) e alcuni componenti della famiglia Inzerillo (Tommaso, Francesco, nato nel 1955 e il cugino omonimo nato nel 1956), le indagini non si sono fermate e si sono avvalse nel tempo, oltre che della collaborazione tra polizia e Fbi (il cosiddetto “Progetto Pantheon”), di nuove intercettazioni, pedinamenti e di vari documenti, a partire dalle lettere ritrovate a Salvatore e Sandro Lo Piccolo al momento della cattura, ma non solo. I nuovi affari erano in corso. E non si sono mai interrotti. La caccia continua nel vecchio e nuovo mondo. 

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