Cronaca

Fare il dentista ai tempi del coronavirus

“Il codice Ateco colloca i dentisti tra le categorie ad alto rischio, ma siamo rimasti aperti lo stesso. Nei nostri territori non c’è una medicina territoriale adeguata, quindi abbiamo finito per lavorare sempre, nonostante l’ordinanza che disponeva la chiusura delle strutture private accreditate e non, salvo le urgenze emergenze. In questo modo, non abbiamo creato disagi alle strutture pubbliche già in difficoltà”. 

Paolino Altilia, vicepresidente regionale Anisap (Federazione Nazionale delle Associazioni Regionali delle Istituzioni Sanitarie Ambulatoriali Private) della Calabria, è uno dei “veterani” tra i dentisti della provincia di Catanzaro, con i suoi 38 anni di attività ed uno studio medico convenzionato con il Sistema sanitario nazionale che rappresenta un punto di riferimento nel comprensorio dell’Alto Ionio Catanzarese, dove lavorano anche la moglie e il figlio, tutti dentisti.

L’emergenza Covid-19 ha esposto ancora di più questa categoria ai rischi del mestiere, ma Altilia non è per nulla preoccupato: “Nella nostra categoria e tra i nostri pazienti non abbiamo avuto nessun caso – sottolinea all’AGI – e questo vuol dire che abbiamo lavorato con tranquillità. Sento definizioni in cui i medici vengono definiti ‘eroi’ o ‘lavoratori in trincea’, ma ritengo che siamo gli stessi medici di prima, quelli che svolgevano come sempre il loro lavoro. La presidente del Senato ha annunciato la Giornata nazionale dei camici bianchi, ma mi chiedo se servisse il Covid-19, considerato che siamo sempre gli stessi. Abbiamo giurato su Ippocrate e quindi questa è la nostra missione e il nostro lavoro”.

Considerata l’esperienza maturata sul campo, Altilia ha anche analizzato le questioni relative ai sistemi di protezione: “I criteri individuati dalle task force per la nostra categoria sono gli stessi che utilizziamo da sempre, ma così abbiamo rischiato di dare un messaggio di sfiducia ai nostri pazienti a cui, invece, dobbiamo fare comprendere che certe attenzioni sono state sempre utilizzate e non solo ora che siamo in pandemia. Noi, ad esempio, disinfettiamo i nostri attrezzi dopo ogni paziente, così come i locali dove operiamo”.

“Per questo – ha proseguito – sono orgoglioso, perché sono state confermate le procedure che abbiamo sempre utilizzato. E’ cambiata solo l’indicazione sul pre-triage telefonico, su cui tra l’altro nutro diverse perplessità”.

C’è una iniezione di fiducia nelle parole di Altilia: “Ci sentiamo protetti nei nostri studi odontoiatrici perché conosciamo il rispetto delle regole e, insieme ai pazienti, abbiamo vissuto questa fase con serenità e rispetto. Abbiamo criteri standardizzati da anni – ha evidenziato il medico dentista – e non c’era bisogno del Covid per rispettare regole scientifiche, visto che il 70 per cento delle spese dei nostri studi riguardano proprio i materiali monouso e di protezione”.

La denuncia di Altilia chiama in causa, però, il sistema sanitario: “Con questo virus abbiamo pagato l’inefficienza della sanità in Italia e in Calabria. Nella nostra regione è stato portato avanti, per anni, un ragionamento ragionieristico e il commissariamento della sanità ha demolito il sistema. Anche la riduzione delle terapie intensive ci ha poi costretto a correre ai ripari”.

“Lo smantellamento della medicina territoriale – ha sottolineato il professionista – ha costretto i cittadini ad andare in pronto soccorso per qualunque patologia, così come inorridisco davanti alla proposta di creare Covid hospital perché rappresenta un vero e proprio tranello. Non possiamo distogliere forze dal sistema sanitario per creare cattedrali nel deserto”.

La proposta di Altilia è netta: “Bisogna sviluppare la medicina del territorio sul modello francese; riorganizzare le case di riposo che non devono essere ghetti per anziani che rappresentano la nostra storia, magari realizzando strutture in ogni singolo paese per non estirpare questa storia dai propri territori. L’ospedale dovrà gestire solo le emergenze, il resto deve essere sviluppato sul territorio”.

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