Cronaca

Dai giubbotti di pelle alle mascherine per combattere la crisi

Il settore non rientra tra le produzioni essenziali e da un mese un intero polo industriale è fermo, con la prospettiva di un lungo periodo di cassaintegrazione per i circa 800 addetti. Il polo conciario di Solofra, il terzo distretto in Italia per un fatturato che fino a febbraio raggiungeva i 500 milioni di euro, occupando 1859 persone in 155 imprese, rappresentando il 7% della produzione nazionale, cerca ora una via per ripartire, tra misure di sicurezza, incertezze sui tempi di ripresa del mercato e una possibile riconversione, anche temporanea, almeno per il settore delle confezioni.

Poche e piccole aziende, soprattutto a carattere familiare, lavorano le pelli conciate a Solofra e commercializzano abbigliamento, calzature e accessori. Aziende che non impegnano più di dieci persone direttamente e coinvolgono altre piccoli laboratori della zona che lavorano in conto terzi.

Ma c’è anche chi ha pensato che la nuova crisi che si è presentata, dopo quella del 2008, si può ‘attraversare’ ripensando, seppure in via temporanea, al prodotto con una riconversione economicamente sostenibile. Ci sta provando la Enjoy Italia srl, che ora ‘sforna’ non più giubbotti e abiti in pelle, ma mascherine e tute monouso. Una produzione molto limitata in fase sperimentale, per ora, ma la prefettura di Avellino ha concesso le autorizzazioni per impegnare almeno 5 dei 15 addetti che lavorano in condizioni normali alla confezione dei capi. 

“Abbiamo cominciato per distribuire gratuitamente mascherine alla Protezione civile, all’ospedale della zona – racconta all’AGI l’amministratore, Carlo Esposito – vogliamo proseguire e arrivare a produrre almeno 2000 mascherine al giorno. Continuiamo a donarle, ma attendiamo di poter commercializzare il prodotto. Se da un lato aiutiamo gli operatori, dall’altro aiutiamo anche noi stessi a superare questo momento”. Esposito però ci tiene alla natura originaria della sua azienda, nata nel 2005. “La nostra vocazione – spiega – è produrre capi in pelle e vogliamo tornare a produrre quelli. Piuttosto che stare fermi e aspettare che il comparto della moda riprenda, però, abbiamo deciso di utilizzare i nostri macchinari per questo. Ma torneremo alla nostra storia”. È una strada che stanno testando anche altri piccoli laboratori di confezione, i più fragili, i più esposti alla crisi del settore.

Anche a Forino, un’altra casa di confezioni ha deciso di produrre mascherine e tute monouso, pur di riattivare i macchinari. Ma l’idea di una riconversione piena e totale per rispondere alla forte domanda di dispositivi di protezione è ancora lontana.

“Eppure sarebbe un’ottima soluzione – rileva il segretario Cgil di categoria, Carmine De Maio – per ora stiamo abbiamo chiesto ai sindaci del distretto di convocarci per mettere a punto un protocollo di sicurezza per i lavoratori con la prefettura, l’Asl e le imprese. Non è facile: ci sono macchinari come le inchiodatrici che richiedono la presenza di venti operai, in genere donne, che lavorano gomito a gomito per ore e ore. Ma sarebbe più opportuno ragionare del futuro, di cosa ci attende, di quando il settore si rimetterà in moto”.

Nel polo solofrano le piccole aziende premono perché le grandi aziende sostengano con un fondo l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, le operazioni di sanificazione. “C’è molto lavoro in conto terzi – aggiunge il sindacalista – e i grandi non possono ricominciare senza i piccoli”. 

Post simili: