Cronaca

La visita di Conte in una Venezia ancora ferita

Venezia acqua alta danni

Articolo aggiornato alle 23.20

Il giorno dopo la seconda acqua alta di sempre, appena 7 centimetri sotto i 194 centimetri dell’acqua granda del 4 novembre 1966, Venezia è una città ferita. Scuole, negozi e molti uffici sono chiusi, e i turisti continuano a sciamare nelle calli e sui ponti con le galosce di plastica colorata a proteggere scarpe e gambe fino al ginocchio.

Gli abitanti, ridotti a pochi più di 50 mila dai 121 mila di 53 anni fa e dai quasi 175 mila del picco demografico registrato nel 1951, sono molto preoccupati. Non dimenticheranno presto le sirene che la sera di martedì hanno suonato più volte, sempre 4 volte per avvisare la massima allerta mentre le stime dell’altezza dell’acqua aumentavano: 140, 155, 170, 180 centimetri!. 

“Non era mai successo – dicono i testimoni – e poi il vento che picchiava sulle finestre, le onde che slegavano le gondole dagli ormeggi, San Marco inondata”. A cercare di rassicurarli è arrivato a Venezia il presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Accompagnato dal ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, ha partecipato a una riunione tecnica al comando della Polizia locale, nel Palazzo Poerio alle porte della città fra piazzale Roma e la stazione di Santa Lucia. Conte ha poi fatto un primo sopralluogo serale in piazza San Marco, dove anche lo storico Caffè Florian, che nel 2020 compirà 300 anni, è stato costretto a chiudere.

Il premier ha visto anche i danni alla Cripta di San Marco, mentre la sua giornata domani comincerà presto in prefettura, per poi fare un giro fra cittadini e commercianti. Verso le 11 ripartirà per Roma, dove un Consiglio dei ministri lampo affrontera’ la crisi veneziana.

“Non vedo le ragioni per non concedere lo stato di emergenza” – ha detto, prima di annunciare la riconvocazione del Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, detto dai veneziani “il comitatone” e un rapido completamento del Mose.

Il sistema di paratie che dovrebbe proteggere la città più famosa del mondo dalle maree “è un’opera discussa” ma “fondi spesi, polemiche e scandali sono alle spalle” e ora bisogna completarlo “in modo rapido ed efficace” entro la scadenza del 2021. “Il Mose – ha detto – sarà completato verosimilmente nella primavera 2021”.

L’unica isola veneziana che non è stata sommersa la notte scorsa è Sant’Erasmo, dove il Mose funziona già. Mentre in quella più colpita, Pellestrina, il problema è stato proprio la costruzione di argini non mobili: proteggono fino a una certa altezza, ma poi producono invece l’effetto di impedire all’acqua entrata di defluire. Quanto al “baby Mose”, protegge Chioggia da maree fino a 130 centimetri: martedì notte non è bastato. 

Il racconto delle ultime ventiquattr’ore

Il ministero per i Beni culturali ha attivato l’unità di crisi per la verifica e la messa in sicurezza del patrimonio culturale eventualmente danneggiato. Il sindaco Luigi Brugnaro, durante un sopralluogo, ha sottolineato la gravità della situazione, in primis al simbolo della città, la Basilica: “Venezia è in ginocchio” ha detto “la basilica di San Marco ha subito gravi danni come l’intera città e le isole”.

Ma “gravissimi” sono definiti dal Comune anche i danni provocati “nell’isola di San Servolo, dove è crollato il muro di cinta davanti all’imbarcadero” e ci sono stati allagamenti anche nei locali interni, oltre ai “problemi registrati nelle scuole di Venezia e nel commissariato della polizia di stato San Lorenzo”.

E ha invitato “cittadini e imprese a raccogliere materiale utile per dimostrare i danni subiti: foto, video, documenti e altro” spiegando che presto saranno comunicate “le modalità per inoltrare la richiesta di contributo”. Secondo una prima stima dell’Unità di crisi della Protezione civile, ad essere colpito è soprattutto il centro storico di Venezia e sono una sessantina le imbarcazioni danneggiate molto pesantemente, tra le quali alcuni vaporetti. Inoltre, situazione molto critica a Pellestrina, dove nella notte c’è stata anche una vittima, un uomo rimasto folgorato.

Ancora più allarmati i toni del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: “L’80% della città è sott’acqua, ci sono danni inimmaginabili, quasi un metro e mezzo a San Marco, Pellestrina è sott’acqua per il 100%. E’ difficile quantificare i danni, sono paurosi” osserva. “È uno scenario di devastazione totale, apocalittica“. Emanuela Carpani, soprintendente per l’Archeologia, belle arti e paesaggio per il comune di Venezia e laguna, testimone d’eccezione, racconta all’AGI: “Stanotte la laguna si è trasformata in mare, si è alzato un fortissimo vento di scirocco. Ho assistito a una situazione impressionante. L’acqua è entrata anche nella cripta di San Marco dove le finestre hanno ceduto alla pressione. Sembrava ci fosse un tifone – spiega – e le persone che arrivavano con i vaporetti scendevano nell’acqua con i trolley sommersi. Le imbarcazioni finivano sulle banchine, ci sono stati crolli, sono venuti giù pezzi di muro. Insomma, una situazione paurosa”.

Ma la situazione non sembra destinata a migliorare, le previsioni non sono incoraggianti. Il Cnr ipotizza una nuova ondata di acqua alta da record a Venezia per domenica prossima, 17 novembre, pur ammettendo che gli eventi climatici sono ormai sempre più estremi e imprevedibili. Georg Umgiesser, ricercatore dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismar), interpellato dall’AGI non usa mezzi termini: “Non dico che potrebbe accadere la stessa cosa, ma andiamo verso questo tipo di situazioni”; sottolineando l’incertezza fisiologica di questo tipo di previsioni, e i problemi legati a una corretta comunicazione.

 “Proprio la settimana scorsa” spiega “abbiamo avuto un convegno con la Protezione civile sul tema della comunicazione dell’incertezza, che diventa una cosa sempre piu’ importante perché noi ora abbiamo una previsione di marea di 160 centimetri, ma questo valore ha una incertezza più o meno di 20 centimetri”.

E sono proprio gli esperti a fornire il nome del “colpevole”: il Ciclone Mediterraneo che si è formato l’11 novembre e che da martedì spazza l’Italia, prima a Sud (colpite la Sicilia, la Campania, la Basilicata con la drammatica situazione di Matera) poi al Nord, fino alla laguna veneta.

La situazione riapre uno scambio di accuse. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, dice all’AGI che “per contrastare i cambiamenti climatici c’è bisogno di un’azione politica ed economica coraggiosa e forte”.

E Legambiente, con il vicepresidente Edoardo Zanchini, lamenta: “L’Italia è l’unico grande Paese europeo che non ha un piano di adattamento al clima. E questo è lo strumento che ci permetterebbe di individuare le priorità e le aree più a rischio programmando per tempo gli interventi. Invece si continuano a rincorrere le emergenze”.

Una veneziana doc come Mara Venier racconta all’AGI: “Ho il cuore spezzato per la mia città e sono a disposizione per qualsiasi iniziativa di solidarietà. Io ho vissuto la marea del ’66 quando l’acqua alta arrivò a 194 centimetri e mi meraviglio che ancora siamo messi così, resto sconcertata”.

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