Cronaca

La quantità di pesticidi presenti nei cibi che mangiamo

La quantità di pesticidi presenti nei cibi che mangiamo

(Afp)

Pesticidi in agricoltura

Boscalid, Chlorpyrifos, Fludioxonil, Metalaxil, Imidacloprid, Captan, Cyprodinil sono i pesticidi più diffusi negli alimenti campionati in Italia. Il dato positivo, in base all’analisi fatta da Legambiente attraverso il dossier ‘Stop pesticidi’ è che il 61% dei campioni risulta regolare e privo di residui.

Un risultato che però da solo non basta a far abbassare l’attenzione su quanti e quali residui di prodotti fitosanitari si possono rintracciare negli alimenti e permanere nell’ambiente. A preoccupare, infatti, non sono tanto i campioni fuorilegge, che non superano l’1,3% del totale, quanto quel 34% di campioni che seppur considerati regolari presentano uno o più residui di pesticidi.

Il dossier di Legambiente riporta i dati elaborati nel 2017 dai laboratori pubblici italiani accreditati per il controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Tali strutture hanno inviato i risultati di 9.939 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, di provenienza italiana ed estera, genericamente etichettati dai laboratori come campioni da agricoltura non biologica.

L’elaborazione dei dati prevede la loro distinzione in frutta, verdura e trasformati. In questa edizione sono stati inseriti anche i dati sui campioni di origine animale, tra cui carne, latte, uova e omogeneizzati. La quantità di residui derivanti dall’impiego dei prodotti fitosanitari in agricoltura, che i laboratori pubblici regionali hanno rintracciato in campioni di ortofrutta e prodotti trasformati, resta quindi elevata. Ma il problema vero – evidenziato dal dossier Legambiente – è il multiresiduo, che la legislazione europea non considera come non conforme se ogni singolo livello non supera il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano.

Cos’è il multiresiduo: frutta e verdura

Il multiresiduo è più frequente del monoresiduo: è stato ritrovato nel 18% del totale dei campioni analizzati, rispetto al 15% dei campioni con un solo residuo. Nel corso del convegno ‘Agricoltura libera da pesticidi’ organizzato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero, che si è svolto oggi a a Roma, è stato evidenziato che la frutta, come negli anni passati, è la categoria dove si concentra la percentuale maggiore di campioni regolari multiresiduo.

È privo infatti di residui di pesticidi solo il 36% dei campioni analizzati, mentre l’1,7% è irregolare e oltre il 60%, nonostante sia considerato regolare, presenta uno o più di un residuo chimico. Il 64% delle pere, il 61% dell’uva da tavola e il 57% delle pesche sono campioni regolari con multiresiduo.

Le fragole, spiccano per un 54% di campioni regolari con multiresiduo e anche per un 3% di irregolarità. Alcuni campioni di fragole, anche di provenienza italiana, hanno fino a 9 residui contemporaneamente.

Situazione analoga per l’uva da tavola, che è risultata avere fino a 6 residui. I campioni di papaya sono risultati tutti irregolari per il superamento del limite massimo consentito del fungicida carbendazim. Per la verdura il quadro è contraddittorio. Da un lato, il 64% dei campioni risulta senza alcun residuo. Dall’altro, si riscontrano significative percentuali di irregolarità in alcuni prodotti, come l’8% di peperoni, il 5% degli ortaggi da fusto e oltre il 2% dei legumi, rispetto alla media degli irregolari per gli ortaggi (1,8%).

Ad accomunare la gran parte dei casi di irregolarità è il superamento dei limiti massimi di residuo consentiti per i fungicidi, tra cui il più ricorrente è il boscalid. Inoltre, alcuni campioni di pomodoro provenienti da Sicilia e Lazio presentano fino a 6 residui simultaneamente, e un campione di lattuga proveniente dal Lazio addirittura 8.

Il multiresiduo nei prodotti di origine animale

Passando ai prodotti di origine animale, 11 campioni di uova italiane (il 5% del totale campionato) risultano contaminate dall’insetticida fipronil. Le sostanze più presenti nei campioni analizzati sono, nell’ordine: il boscalid, il chlorpyrifos e il fludioxonil.

Al quarto e quinto posto troviamo il metalaxil e il captan, entrambi fungicidi, mentre in sesta posizione l’imidacloprid, insetticida neonicotinoide di cui, per tutelare gli impollinatori, è entrato in vigore il divieto di utilizzo a partire dal 2019.

In generale, nel confronto tra i campioni esteri e italiani, quelli a presentare più irregolarità e residui sono quelli esteri: sono irregolari infatti il 3,9% dei campioni esteri rispetto allo 0,5% di quelli nazionali, e presenta almeno un residuo il 33% dei campioni di provenienza estera rispetto al 28% di quelli italiani.

Anche nei campioni di provenienza estera è la frutta la categoria in cui si osserva la percentuale più alta di residui: il 61% di tali campioni di frutta presenta almeno un residuo. Tra gli ortaggi, il 51% dei pomodori e il 70% dei peperoni esteri contengono almeno un residuo. Oltre alla percentuale più alta di multiresiduo, pomodori e peperoni presentano anche il maggior numero di irregolarità, rispettivamente il 7% e il 4% del totale analizzato.

Se lo scorso anno era un campione di foglie di tè verde, di origine cinese, a contenere il più alto numero di residui, ben 21, quest’anno il record è di un campione di peperone di provenienza cinese, con 25 residui di pesticidi. Al secondo posto c’è un campione di pepe, proveniente dal Vietnam, con 12 residui, seguito da una pomacea prodotta in Colombia con 15 residui diversi. 

L’agricoltura biologica

In particolare, 14 campioni presentano da 6 a 25 residui contemporaneamente. Di questi uno arriva dalla Grecia e 13 sono di provenienza extra-Ue. Sul fronte dell’agricoltura biologica, i 134 campioni analizzati risultano regolari e senza residui, ad eccezione di un solo campione di pere, di cui non si conosce l’origine, che risulta irregolare per la presenza di fluopicolide.

Non è possibile, allo stato attuale, sapere se l’irregolarità è da imputare a una contaminazione accidentale, all’effetto deriva o a un uso illegale del fungicida. L’ottimo risultato è ottenuto anche grazie all’applicazione di ampie rotazioni colturali e pratiche agronomiche preventive, che contribuiscono a contrastare lo sviluppo di malattie e a potenziare la lotta biologica tramite insetti utili nel campo coltivato.

In Italia, la percentuale di prodotti irregolari è passata dall’1% del 2007 all’1,3% del 2017, una leggera crescita, in linea con la percentuale europea di campioni irregolari, che l’Efsa stima nell’1,5% del totale. La media dei campioni analizzati in Italia nell’ultimo decennio, risultati regolari senza residuo è del 63% a fronte di una media europea del 54%.

Fare un confronto sul multiresiduo rimane impossibile, perché Efsa non fa ancora la distinzione tra campioni regolari con un solo residuo e campioni con più residui.

“Solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo – spiega il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti – raggiunge in genere l’organismo bersaglio. Tutto il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo, con conseguenze che dipendono anche dal modo e dai tempi con cui le molecole si degradano dopo l’applicazione. Le conseguenze si esplicano nel rischio di inquinamento delle falde acquifere e nel possibile impoverimento di biodiversità vegetale e animale.

Effetti ai quali ancora oggi non si dà il giusto peso, nonostante numerosi studi scientifici abbiano dimostrato le conseguenze che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce sulla biodiversità e sul suolo. Per questo – sottolinea ancora – auspichiamo che il futuro Piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei pesticidi preveda obiettivi ambiziosi e tempi rapidi per la loro riduzione e il rafforzamento del sistema dei controlli sugli alimenti e l’adozione di misure a tutela della salute delle persone”.

La revisione del Piano d’azione nazionale

Secondo Legambiente la revisione del Pan per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari deve prevedere l’applicazione delle misure già fissate, ancora oggi spesso inattuate, mettendo al centro la tutela dell’ambiente e della salute, le produzioni di qualità, le competenze che derivano dal modello agro-ecologico e dall’agricoltura biologica e la sfida del cambiamento climatico.

Oltre a essere il settore più vulnerabile, l’agricoltura è una fonte importante di gas climalteranti, in particolare metano (CH4) e protossido di azoto (N2O). Secondo dati recenti dell’UNFCCC (la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici), questi due gas serra fanno insieme il 16,1% delle emissioni totali di gas a effetto serra e sono rispettivamente 10,6% e 5,5%.

“Anche la qualità delle acque è fortemente a rischio – aggiunge Daniela Sciarra, responsabile delle filiere agroalimentari di Legambiente e curatrice del dossier – come conferma l’Ispra nel suo ultimo rapporto, secondo cui i pesticidi sono presenti in oltre il 60% nelle acque superficiali e in oltre 30% di quelle sotterranee. Esiste pertanto una buona corrispondenza tra i residui riscontrati nelle derrate alimentari e quelli che si rinvengono nelle acque superficiali e sotterranee. Molto si può fare per ridurre i rischi e le conseguenze negative che un utilizzo non corretto dei pesticidi ha determinato e continua a determinare sull’ambiente. Va incentivato – conclude – il rispetto di fasce tampone, non soggette a trattamenti, dai corpi idrici per minimizzare il rischio di inquinamento dei corsi d’acqua, la diffusione di tecniche alternative al mezzo chimico e la tutela della biodiversità, che può determinare un miglioramento della resilienza e dell’equilibrio biologico nell’ambiente coltivato”. 

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