Cronaca

La frase che ha fatto condannare Travaglio per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi

La frase che ha fatto condannare Travaglio per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi

 (Agf)

 Marco Travaglio

Marco Travaglio è stato condannato per la seconda volta per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del consiglio Matteo Renzi e al risarcimento di 50 mila euro. È la seconda condanna per questo reato in meno di un mese per il direttore de il Fatto quotidiano sul caso Consip. La prima, di 95 mila euro, riguardava articoli pubblicati sul suo giornale.

La seconda, 50 mila euro, riguarda invece un intervento televisivo su La 7, durante la trasmissione Otto e mezzo. A dare la notizia della seconda condanna è stato Matteo Renzi sul suo profilo Facebook. Oggi Travaglio dedica il suo editoriale sul Fatto alla vicenda. E, dopo aver raccontato della condanna, spiega: “Il bello è che non so letteralmente di quale sentenza o processo stia parlando”, dice riferendosi al post di Matteo Renzi, “perché né a me né ai miei avvocati risultava questa causa […] Sta di fatto che ero contumace e non ho potuto difendermi”.

Travaglio aggiunge di aver saputo del motivo della seconda condanna solo in serata quando “una giornalista molto addentro alle cose della famiglia Renzi […] cita sul sito del Foglio brani della sentenza e soprattutto la frase che mi è costata 50 mila euro”. La giornalista citata da Travaglio è Annalisa Chirico de Il Foglio. Con lei  si trovò a discutere in tv a marzo dello scorso anno sul caso Consip (qui il video della puntata). L’articolo de Il Foglio menzionato invece è stato pubblicato venerdì sera, e la Chirico scrive: “Era il 9 marzo 2017, e nello studio televisivo di Lilli Gruber c’ero anch’io. Preso dalla foga in un confronto acceso sull’inchiesta Consip, Travaglio si spinse ad affermare che dagli atti giudiziari fosse emerso un quadro inquietante”. La frase pronunciata da Travaglio era: 

“Il padre del capo del governo si mette in affari o s’interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo”. 

Travaglio, ricordando di non aver potuto difendersi in tribunale, prova a farlo sul suo giornale dicendo che quella frase è “il minimo sindacale della cronaca del momento, e anche di oggi: come è universalmente noto, Tiziano Renzi era ed è indagato dalla Procura di Roma (con richiesta di archiviazione non ancora valutata dal Gip) per traffico di influenze illecite con la Consip: società controllata dal governo, ai tempi in cui il premier era il figlio Matteo”.

Il direttore de Il Fatto aggiunge però che non c’era solo il caso Consip, ma Tiziano Renzi “si era messo in affare con un’altra società partecipata dal governo, Poste Italiane, ottenendo per la sua Eventi 6 un lucroso appalto per distribuire le Pagine gialle nel 2016”, quando il figlio era a Palazzo Chigi. “Ricapitolando: quella sera, da Gruber, dissi la pura, semplice e anche banale verità”.

Il tribunale di Firenze, da quanto riferisce il Foglio, ha deciso di condannare Travaglio perché “le parole pronunciate dal giornalista hanno connotazioni oggettivamente negative, alludendo le stesse ad un contesto di malaffare e ad un intreccio di interessi privati, economici e politici ad elevati livelli […] Nel suo insieme e nel suo impianto, l’intervento del giornalista è demolitivo nei confronti dell’attore e di suo figlio, sul fronte etico, politico e della dignità personale”.  

Quindi per il giudice civile “l’offesa è, nel caso di specie, tanto più grave in quanto si mettono in relazione gli affari personali dell’attore con l’ascesa politica del figlio che, all’epoca dei fatti (cui si fa riferimento nell’ambito della trasmissione), era stato capo del governo e, quindi, figura istituzionale dalla quale tutti si attendono attenzione e sensibilità per gli interessi dello stato”.

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