Cronaca

Il dramma delle donne costrette a fuggire dal Venezuela. Una mappa

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BORIS VERGARA / DPA / DPA PICTURE-ALLIANCE

“Le donne venezuelane stanno soffrendo la crisi in maniera più acuta”. A scriverlo nei mesi scorsi in un report dell’Onu, è stata l’alto commissario per i diritti umani Michelle Bachelet che nel dossier ha descritto la questione di genere all’interno della crisi che dal 2013 attanaglia il Venezuela, ormai sull’orlo di una guerra civile. In questi anni i salari minimi sono scesi fino a 2 dollari al mese e il governo non ha risparmiato forti repressioni alle proteste di piazza.

In prima linea ci sono state le donne venezuelane, che “in questi anni hanno capeggiato molte proteste locali e pacifiche per richiedere beni e servizi basici”, si legge nella relazione Bachelet. E sono molte le donne tra gli oppositori politici finiti in carcere, “sottomesse a violenze sessuali e umiliazioni”, si legge nella relazione Bachelet. Basti pensare al carcere El Helicoide di Caracas (gestito dal Sebin, servicio bolivariano de inteligencia nacional) in cui vi è un’unica cella per donne, sorvegliata da agenti uomini.

Per questo molte donne (come molti venezuelani) hanno deciso di lasciare il paese. A maggio 2019 secondo l’Unhcr erano 4 milioni quelli che avevano lasciano il paese e la Colombia è quello che ne ospita di più (1,3 milioni). Si parte via mare, via terra o con l’aereo e sono memorabili le immagini in cui si vedono carovane infinite di persone mentre attraversano a piedi le frontiere dei paesi vicini. Il transito avviene anche attraverso una frontiera fluida, formata da punti di passaggio ingovernabili e preda dei narcos e i loro traffici che spesso finiscono per incrociarsi con i flussi migratori. In questo esodo alcuni hanno perso la vita nel tentativo di ricostruirsene una.

Così un ricercatore italiano ha mappato attraverso fonti aperte, le morti di donne venezuelane migranti avvenute in un paese estero.

“La mappa è in continuo aggiornamento, riguardo a questo fenomeno non esistono dati sistematizzati da nessuna ong e da nessuna istituzione, per questo abbiamo estrapolato questi dati dalla stampa locale, sia accessibile online che in formato cartaceo”, racconta all’Agi Diego Battistessa, autore della ricerca, latinoamericanista specializzato in diritti umani e migrazione, docente dell’Istituto di Studi Internazionali ed Europei “Francisco de Vitoria” – (Universidad Carlos III de Madrid).

Il progetto è stato realizzato assieme a Jassir Heredia Blanco, esperta in diritti umani interculturali e al momento riguarda piu di 150 casi (120 solo negli ultimi due anni e mezzo).

“Per ogni caso – continua Battistessa – sono indicati (quando possibile) nomi e cognomi, anni di decesso, data di morte, foto e articolo di stampa di riferimento. Ogni caso è collocato nel luogo in cui si sono verificati gli eventi, rappresentato da un simbolo che identifica la causa della morte”.

Il paese in cui si registrano più decessi (75) è la Colombia, dato che però deve essere relativizzato rispetto all’elevata presenza di migranti venezuelani e all’alta concentrazione di conflitti nel paese che consegna un tasso di omicidi intenzionali ogni centomila abitanti di 24,91: E finiscono sulla stampa con tanto di nome, cognome, età e fotografie. I casi sono cruenti: c’è una 18enne uccisa a pugnalate il giorno del suo compleanno a Santa Marta (Colombia) o il ritrovamento del cadavere nudo di una ragazza sul ciglio di una strada a Manta (Ecuador), ma anche l’uccisione di una donna di 34 anni in Gran Bretagna per mano di un coinquilino minorenne e ritrovata cadavere soltanto alcuni giorni dopo la morte. 

“Le donne che lasciano il paese si trovano di fronte all’ipersessualizzazione della loro figura come oggetto di esportazione”, dice il ricercatore Battistessa che aggiunge come “spesso le stesse finiscano in mano alla criminalità organizzata, nelle reti di tratta che lucrano sulla sfruttamento della prostituzione. Questa situazione di violenza/necessità/colpa crea un trauma psicologico dalle molteplici sfaccettature che sempre di più rompe il legame con il tessuto sociale della famiglia rimasta in Venezuela ”.

“Noi abbiamo annotato la presenza di sei suicidi – dice – e in una società che non contempla i suicidi, sono tanti. Il suicidio non è un fenomeno frequente in Latino America, il fatto stesso che queste donne siano giunte a questa soluzione ci fa comprendere il grado di disgregazione sociale e di valori rispetto al loro vissuto in Venezuela: si sentono completamente perdute”.

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