Cronaca

Brugiatelli sull’omicidio del carabiniere Cerciello: “Non sono né un informatore né un pusher”

carabiniere ucciso brugiatelli 

Emanuele Valeri / AGF 

Gabriele Natale-Hjorth

È arrivato a Roma in tarda mattina e ha trovato alloggio in un hotel di lusso nel quartiere di Monte Mario, Ethan Elder, il padre di Lee Finnigan Elder, il 19enne californiano che ha ucciso con undici coltellate il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega. “Io e mia moglie, dopo aver visto la foto di Hjorth bendato, abbiamo temuto per la sorte di nostro figlio. Ma siamo stati rassicurati sul fatto che non ha subito alcun maltrattamento”, ha detto l’uomo che spera di incontrare in breve tempo Lee, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.

Oggi è stato anche il giorno di Sergio Brugiatelli, l’uomo al quale i due americani hanno rubato lo zainetto dalle parti di piazza Mastai e che con la sua segnalazione al 112 ha fatto sì che Cerciello Rega e il collega Andrea Varriale si mobilitassero per recuperarlo incontrando gli autori del furto. Un appuntamento in via Pietro Cossa conclusosi in tragedia con la morte del primo carabiniere.

Il ruolo di Brugiatelli

“Desidero chiarire che non sono un intermediario di pusher né, tanto meno, un informatore delle forze dell’ordine – ha fatto sapere Brugiatelli attraverso il comunicato diffuso dal suo avvocato di fiducia Andrea Volpini -. Scrivo queste righe innanzitutto per rendere onore all’uomo valoroso che, con il suo lavoro di carabiniere, ha salvato la mia vita e purtroppo perso la sua. Ai familiari del vicebrigadiere, alla sua giovane moglie, vanno le mie sincere condoglianze. In questi giorni e notti passate pensando alla tragedia che ha distrutto la famiglia del carabiniere che mi ha salvato la vita, ho letto e sentito dai media sulla vicenda curiose e false ricostruzioni che proseguono anche dopo la conferenza stampa degli inquirenti”.

Spiega ancora Brugiatelli: “Se dopo il furto subìto ho chiamato il 112, senza aspettare l’indomani per sporgere denuncia, come mi era stato in un primo momento consigliato dai carabinieri, è stato perché ho avuto paura. Quando ho chiamato il mio numero di cellulare, chi ha risposto non ha solo preteso denaro e droga per riconsegnare le mie cose. Mi hanno minacciato, dicendo che sapevano dove abitavo e sarebbero venuti a cercarmi. Nel borsello rubato, oltre al documento d’identità, c’erano anche le chiavi della casa dove vivo con mio padre, che è molto malato, mia sorella e mio nipote. Ho avuto paura che potessero far del male a me e soprattutto a loro, e per questo ho chiesto aiuto al 112. Le stesse minacce che avevano rivolto a me, sono state ripetute poco dopo, quando, con il telefono in viva voce, ho richiamato di fronte ai carabinieri il mio numero di cellulare”.

Poi una puntualizzazione del suo avvocato: “Brugiatelli non ricorda di aver mai detto, subito dopo l’omicidio di Cerciello Rega, che gli aggressori fossero magrebini. L’unica cosa che ha detto in quel momento, in cui peraltro era sotto choc per quanto accaduto, è che si trattava di persone con accento straniero”.

La situazione sul fronte delle indagini sul presunto omicida

Sul fronte delle indagini, intanto, va segnalato il sopralluogo effettuato dai carabinieri nella stanza 109 dell’hotel Meridien a Roma dove alloggiavano i due americani. C’erano anche i difensori dei due 19enni con i loro consulenti tecnici. Nei giorni scorsi nel controsoffitto della camera era stato trovato il coltello da marina usato da Elder per uccidere Cerciello Rega.

Oggi sono state repertate tracce biologiche e di impronte digitali. Sono sotto sequestro i bagagli con gli indumenti dei due arrestati. Roberto Capra, uno dei difensori di Elder, ha detto che il ragazzo “è molto provato”. La procura ha disposto l’acquisizione dei turni dei carabinieri che erano in servizio alla stazione Farnese assieme ad altra documentazione per certificare l’effettiva presenza (dalla mezzanotte alle 6 del 26 luglio) di Cerciello e Varriale.

Intanto, sono due le ipotesi di reato (abuso d’ufficio e rivelazione del segreto d’ufficio) formulate dai magistrati per la storia della foto scattata in caserma a Hjorth, bendato e ammanettato con le braccia dietro la schiena prima di essere interrogato, e poi veicolata via chat. Sulla foto procede anche la procura militare che indaga contro ignoti. 

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