Cronaca

Alan Kurdi, il giorno del “sollievo” per i 146 migranti a bordo. 

Sollievo, strette di mano (con guanti di lattice) e sorrisi diettro le mascherine. Tanti. Sono passate le 19 quando la lunga odissea dei 146 migranti a bordo dell’Alan Kurdi, della ong tedesca Sea-Eye, finisce. Ad uno ad uno trasbordano sulla “Raffaele Rubattino”, il traghetto messo a disposizione dal governo italiano, a bordo del quale trascorreranno il periodo di quarantena imposto dall’emergenza coronavirus. “Resteranno chiusi ognuno in una cabina, riceveranno 3 pasti al giorno verranno sottoposti ad uno screening medico da parte del personale medico, anche della Croce Rossa”, ha spiegato l’ammiraglio Roberto Isidori, direttore marittimo di Palermo.     

E’ stata una lunga giornata, iniziata con una riunione “operativa” in Prefettura per predisporre il piano e le procedure. La “Rubattino”, intanto era ormeggiata al molo Sammuzzo – giunta nel frattempo da Napoli: sono stati caricati gli approvvigionamenti necessari a sostenere la quarantena: derrate alimentari, farmaci indumenti, mascherine, guanti in lattice. Intanto a Palermo – a bordo di un Atr della Guardia di Finanza partito da Pratica di Mare – è giunta una task force di 22 operatori della Croce Rossa Italiana, poi imbarcata sulla nave che trascorrerà la quarantena alla fonda del porto del capoluogo siciliano. Alle 16:15 – chiusi i portelloni posteriori e mollati gli ormeggi – la “Rubattino” lascia il molo e si dirige verso la Alan Kurdi, nel frattempo avvicinatasi fino ad un miglio dalla costa, più o meno tra Bagheria e Villabate.

Le procedure di avvicinamento sono lunghe e lente: la Rubattino è lunga 180 metri e larga 27 la Alan Kurdi è larga sette e lunga 39. Alla fine è proprio la barca della Ong tedesca che si avvicina alla paratia di dritta – osservata a vista dalle motovedette di Guardia Costiera e Guardia di finanza, inclusa la nave Diciotti – fino ad essere attaccata e assicurata da diverse cime. Vengono distribuiti i giubbotti di salvataggio, quelli arancione, ai migranti e si aspetta il via al trasbordo.

Arrivano le mascherine e i guanti, anche questi necessari. Poi via al trasbordo. Uno ad uno i migranti varcano la “porticina” ed entrano nella pancia del grande traghetto. “L’odissea è finita”, twitta intanto Sea-Eye. Alan Kurdi resterà al momento in rada a Palermo, anche i 22 membri dell’equipaggio devono osservare il periodo di quarantena. “La crisi del Covid non è una buona ragione er non salvare chi annega in mare – afferma Gordenn Isler, presidente della ong. “Faremo di tutto – aggiunge per far ripartire una missione di soccorso a maggio. Serve una soluzione per i 40 migranti a bordo di Aita Mari”, oggi alla fonda a Lampedusa.

 In Sicilia, intanto, le prefetture cercano strutture per la quarantena di eventuali migranti soccorsi in mare. La polemica politica, oggi focalizzata sul Mes e sulla fase 2, vede la reazione di Matteo Salvini: “Tutto a spese degli italiani”, protesta il capo della Lega.  

Il mondo delle ong è diviso al proprio interno. Se Alan Kurdi è pronta a tornare in mare, tra due settimane, unica a farlo, non vale altrettanto per Ocean Viking, noleggiata da Sos Mediterranee, che divorzia da ​Medici Senza Frontier: insieme avevano soccorso 30 mila persone nel Mediterraneo. Nel mezzo della nuova crisi del coronavirus, Malta e l’Italia hanno ufficialmente chiuso i loro porti ai migranti che fuggono dalla Libia.

In questo contesto, Sos Méditerranée ha ritenuto da parte sua che “purtroppo le condizioni di sicurezza non erano più soddisfatte per gli equipaggi e per le persone soccorso salvati”, ha spiegato Sophie Beau, il direttore generale.​ Tornare in mare significava correre il rischio di trovarsi “di fronte a situazioni di stallo che si trascinano…senza alcun approdo garantito” e con “evacuazioni mediche rese molto pericolose dalle condizioni di crisi sanitaria”.

Fino a nuovo avviso, l’Ocean Viking rimarrà a Marsiglia, il suo porto di origine. Msf, da parte sua, avrebbe voluto continuare i soccorsi a bordo dell’Ocean Viking, anche senza alcuna garanzia da parte degli stati europei di poter sbarcare le persone salvate, in nome dell'”imperativo umanitario”, ha spiegato Hassiba Hadj Sahraoui, responsabile delle questioni umanitarie. Sos Mediterranee, si legge in una nota, “accetta ovviamente la decisione del partner, pure con un po’ di tristezza vista l’eccezionale cooperazione dei nostri rispettivi team a bordo dell’Aquarius e dell’Ocean Viking, che hanno fatto il massimo per salvare il maggior numero possibile di vite umane”. 

Msf, dal canto suo, ribadisce una questione di principio: “Pur avendo una nave e team medici, umanitari e di soccorso pronti a tornare in mare – si legge in una nota – gli ostacoli imposti all’azione umanitaria nel Mediterraneo sono stati ulteriormente aggravati dalla pandemia, impedendo a Msf e Sos Mediterranee di trovare un accordo sul possibile ritorno in mare e compromettendo la fattibilità della partnership”.

Sparisce anche la possibilità di vedere da remoto cosa accade nelle zone di ricerca e soccorso. Se oggi è possibile tracciare on line i voli militari (quelli delle esercitazioni odierne della Turchia vicino alla Libia, ad esempio), questo, spiega Sergio Scandura di Radio Radicale, “non è possibile farlo per quelli di Frontex, oscurati”. Il Mediterraneo è sempre più un buco nero.

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