Cronaca

In attesa dell’ultima copia del New York Times, ecco la prima della Gazzetta di Mantova

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Nell’era della digitalizzazione spinta, della crisi profonda dei giornali, del sempre più ridotto e asfittico bacino della loro diffusione, in cui si profetizza che nel 2043 potrebbe addirittura comparire in edicola, e per l’ultima volta, L’ultima copia de New York Times, appare del tutto paradossale che un giornale locale come La Gazzetta di Mantova arrivi a potenziare e rinnovare il proprio Museo storico e al tempo stesso antico con copie di edizioni di quattro secoli fa.

Aperto nel 2014, dopo una mostra a Palazzo Te, il giornale della città ha dato fondo a tutto il proprio passato e ai propri magazzini, arricchendo il Museo con un vero e proprio tesoro di copie cartacee che risalgono addirittura al ‘600 e al ‘700.

La notizia l’abbiamo trovata tra le pagine culturali del la Repubblica del 10 aprile in un articolo a firma del direttore della Gazzetta medesima, Paolo Boldrini, il quale racconta, ad esempio, che il numero del 17 ottobre 1687 “apre con una notizia da Vienna: l’inviato di Madama la Delfina è arrivato a corte per complimentarsi dopo la vittoria sui turchi”.

Dal numero del 5 ottobre 1691 apprendiamo, invece, “che il principe di Badenera preoccupato per lo stato di salute delle truppe concedeva loro un giorno di riposo ogni tre di battaglia”.

Turchi, imperatori e un terremoto a Bagdad

Nell’articolo, il direttore della Gazzetta racconta diverse curiosità per quanti si recano alla mostra, perché “all’attento visitatore balza subito all’occhio una caratteristica del periodo: il giornale aveva una vocazione internazionale, collaboratori in tutte le capitali europee e non solo. Frequenti le notizie da Costantinopoli. Un documento trovato nell’Archivio di Stato di Milano, datato 1771, ha dimostrato che il sultano Mustafà III amava leggere la Gazzetta di Mantova, tradotta nella sua lingua”.

Ma di notizie inedite come queste ve n’è più d’una. Come, ad esempio, quella che risale proprio alla primavera del 1771, secondo la quale “un messaggio preoccupato al nunzio pontificio a Vienna segnalava alla corte di Maria Teresa d’Austria l’inopportunità di pubblicare informazioni sull’attività delle missioni cattoliche nell’impero ottomano”.

Oppure l’edizione dl 24 novembre 1769 riportava in prima pagina la notizia del disastroso terremoto che rase al suolo Bagdad.

”In poche righe – si legge nell’articolo de la Repubblica – l’anonimo cronista racconta il dramma di una capitale in cui furono ‘rovesciate 4.000 case e perirono molte persone’”.

E “oltre alle scosse, a complicare la situazione, un diluvio di pioggia e grossa grandine, tanto che i sopravvissuti ‘non hanno osato per assai tempo uscire, per tema di avventurarsi alla morte’. Il sisma risaliva al maggio precedente e il dispaccio impiegò sei mesi per arrivare a Mantova, immaginiamo portato a cavallo da un corriere”.

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Il sultano Mustafà III, accanito lettore della Gazzetta di Mantova (Artokoloro/Quint Lox/Aurimages/AFP)

L’orizzonte de La Gazzetta non conosceva confini. Non solo il Medioriente, ma anche America Latina, l’Argentina.

Invece “poche e relegate sempre in ultima pagina le notizie locali: battaglie tra eserciti sulle opposte sponde del Po, scontri navali sul lago di Garda, omelie di predicatori in duomo da applausi, i riti religiosi all’abbazia del Polirone a San Benedetto Po” si legge nel testo dell’articolo di Paolo Boldrini, che osserva: “La musica cambia nel 1800 con una maggior attenzione al territorio, ma non alla cronaca nera, quasi del tutto assente. Per vedere una fotografia bisogna attendere il 1892: il maestro Mascagni”.

E poi il 1900 “con la prima Guerra Mondiale, l’avvento del fascismo, più avanti l’approvazione della Costituzione nel 1947 e l’uomo sulla Luna nel 1969, con il dialogo integrale tra gli astronauti e la base di Houston”.

Ma ormai siamo all’oggi. La Gazzetta di Mantova esce da 355 anni, ma chissà se le copie attuali arriveranno, tra altrettanti anni, intatte o quasi ai nostri posteri? Con lo stesso valore e peso storico. Una cosa è però certa: in tutti i casi, il passato è sempre più ricco, curioso, meno scontato e banale del misero presente.      

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