Cronaca

Coronavirus, l’analisi dell’esperto: i punti fermi, i dubbi, gli errori

Le modalità del contagio, le possibili terapie, i vaccini, i tempi di incubazione e di contagiosità, il ruolo dello smog e la speranza del caldo: sono tutti aspetti su cui ancora non c’è una parola definitiva della scienza e su cui, purtroppo, arrivano informazioni spesso confuse se non contraddittorie. Con Marco Cattaneo – direttore di Le Scienze, una delle più prestigiose riviste scientifiche italiane, edizione italiana di Scientific American, di cui è stata la prima edizione internazionale – l’AGI ha provato a fare un punto su quello che sappiamo (e non sappiamo) del Covid-19, ma anche a capire se siamo pronti per la fase 2. E a stabilire anche gli errori che in qualche caso sono stati commessi, in modo da evitarli in futuro.    

– COME CI SI CONTAGIA “Sappiamo – spiega Cattaneo – che Sars-Cov-2 è un virus respiratorio e quindi si trasmette essenzialmente con il respiro, il colpo di tosse, lo starnuto, e questo complica le cose: l’Aids, come sappiamo, si trasmette per via sessuale, ed è quindi più facile da controllare. E’ più pericoloso stare in luoghi chiusi e bisogna mantenere la distanza di almeno un metro secondo l’Oms, ma direi per essere sicuri almeno 2 metri”. Eppure i parchi sono chiusi, i supermercati no: “Sicuramente essere dentro un supermercato che, malgrado gli ingressi contingentati, ha comunque un numero discreto di persone all’interno è più pericoloso che stare al parco. Ma bisogna pur mangiare, e quanto ai parchi penso ci sia una scarsa fiducia reciproca tra le istituzioni e gli italiani: si sospetta che riaprendo una villa cittadina la gente inizi subito ad assieparsi con picnic e quant’altro, anche se in realtà gli italiani in questi due mesi hanno dimostrato un grandissimo buon senso, a parte un numero limitatissimo di casi”.

– CIRCOLA NELL’ARIA, E LO SMOG INFLUISCE? “Sul tema dello smog ci sono due studi ancora non conclusivi. Certo l’area della pianura Padana è una delle zone più inquinate, se non la più inquinata, d’Europa. Ma c’è anche un’altissima densità di popolazione, una grande mobilità. E sappiamo inoltre che il virus si è trasmesso soprattutto in luoghi chiusi, come ospedali e Rsa, quindi, anche se nemmeno qui abbiamo studi definitivi, credo sia più probabile che gli impianti di aerazione possano avere un ruolo nella diffusione del virus, facendo circolare l’aria con le particelle virali emesse da un malato ben più di 1-2 metri, come recentemente dimostrato da uno studio cinese. Questo sarà un problema specie d’estate, anche perché se la questione è il circolo dell’aria, sanificare gli impianti non servirebbe a granché”.

– I TEMPI DI INCUBAZIONE “Siamo fermi alle indicazioni dell’Oms: 5-7 giorni di media, massimo 15 giorni. Su questo i dati empirici che sono arrivati in due mesi di pandemia mi pare possano confermare il dato. Certo fa riflettere che l’Oms prescriva, per esempio nel caso di Ebola che comunque è un virus molto più letale, due tempi completi di incubazione a contagio zero per poter riaprire: un mese di casi zero insomma. Perché bastano pochi contagiati che vanno in giro liberamente a far nascere nuovi focolai”.

– IL CAPITOLO DEI TEST “Qui l’Oms, e i nostri esperti che hanno portato avanti quelle indicazioni, sicuramente hanno sbagliato. Altro che pochi tamponi, i test andrebbero fatti in misura molto superiore a ora, ne servirebbero 150mila al giorno, anche a campione, da associare al termoscanner per i testati. Così si può subito isolare l’eventuale positivo (non a casa sua, ma in altre strutture apposite), e poi tracciare i contatti. Ora anche l’Oms ha cambiato linea introducendo il modello delle tre T: Test, Trace, Treat, ossia testa, fai il tracciamento e cura”. E i test sierologici? “Ci sono forti dubbi sull’affidabilità della risposta (che peraltro nemmeno per i tamponi è del 100%), possono servire, come si vuole fare in Italia, per provare a fare un’indagine epidemiologica sui malati ‘sommersi’ ma non possono al momento sostituire l’analisi molecolare, cioè il tampone”.

 – GLI ASINTOMATICI VEICOLO DEL CONTAGIO? “Su questo abbiamo studi più solidi, a partire dall’indagine epidemiologica a Vo’ Euganeo: lì si è scoperto che oltre il 40% dei positivi era totalmente asintomatico. Senza un’indagine a tappeto su tutta la popolazione, non sarebbero mai stati individuati. E recenti studi ritengono gli asintomatici responsabili del 50-60% dei contagi, un dato che mi pare verosimile. Per questo è importante come dicevamo prima definire il perimetro del contagio, e ‘pescare’ più positivi possibile con pochi o nessun sintomo. Invece in Italia, almeno all’inizio, si è perseguita la strategia opposta: come è stato detto, ci siamo trovati di fronte a un gregge di pecore che continuava a cadere da un burrone, e ci siamo affrettati a correre a valle per curarle invece di pensare di mettere una staccionata. La partita si gioca tutta qui, sul tracciamento precoce per evitare la diffusione del contagio”. 

– CI SONO FARMACI EFFICACI? E IL VACCINO ARRIVERÀ? “Al momento una terapia validata, il classico ‘magic bullet’ che risolve il problema, non c’è. Noi abbiamo avuto l’imbarazzante episodio dell’Avigan, il farmaco giapponese sul quale l’Italia, dopo il caso Di Bella e Stamina, stava per avviare una sperimentazione perché un tizio su YouTube aveva detto che funzionava. Ovviamente non è così, come ha detto la stessa azienda produttrice. Per ora si procede per tentativi, sappiamo che hanno una qualche efficacia gli antivirali (che hanno però molti effetti collaterali), c’è un forte dibattito sulla clorochina, sappiamo che con l’eparina si riducono alcune complicanze trombotiche, e che alcuni antinfiammatori riducono la potenza della ‘tempesta immunitaria’ che nei casi più gravi devasta i polmoni. Il problema di fondo è che non sappiamo ancora esattamente quali conseguenze organiche ha il virus, ci sono studi che lo hanno rintracciato nei testicoli e in altri organi: potrebbe anche annidarsi nell’organismo, sparire e poi riemergere, come fa l’herpes. Ma certezze non ce ne sono”. Quanto al vaccino, è probabile che arriverà, e anche in tempi record: “Tutta la scienza mondiale è mobilitata, con un’intensità mai vista. Abbiamo già 100 vaccini in fase di sperimentazione, siamo già riusciti a trovare 1.600 sequenze genomiche del virus depositate nelle banche dati, una cosa mai vista. Il gruppo di Oxford dice che saranno pronti a settembre, ed è possibile: si salteranno dei passaggi in termini di sicurezza, ma il rapporto costi-benefici, con un virus che senza controllo potrebbe veramente causare un’ecatombe mondiale, vira decisamente a favore del vaccino”. 

 – IL CALDO CI SALVERÀ? Anche questo non si sa, certo è una speranza. Quello che osserviamo è che il virus è presente anche nei Paesi più caldi, non in proporzioni simili a Europa e Usa ma circola. Potrebbe voler dire che quantomeno si ridurrà d’estate, ma è difficile che sparirà. E in questo caso dovremo stare molto attenti a settembre-ottobre alla seconda ondata, che non sappiamo se sarà come per la Spagnola, ossia molto peggio della prima, oppure no”.

– PRONTI ALLA FASE 2? “Io la chiamerei fase 1,2 più che fase 2. Non c’è un allentamento netto delle misure di chiusura ma molto prudente. Non poteva essere diversamente: ricordiamoci che abbiamo più nuovi casi al giorno oggi che al momento del lockdown. Il problema è che sono state annunciate le misure economiche e sociali ma non quelle sanitarie, cioè le famose tre T. L’Oms ha redatto un vademecum in 6 punti per poter riaprire, e noi forse ne rispettiamo uno solo. Anzitutto, la trasmissione del contagio, scrive l’Oms, deve essere ‘controllata’, e da noi non lo è. Il sistema sanitario deve poter appunto testare, tracciare, isolare ogni contatto e curare, e sappiamo che non è così, perlomeno non sempre. Il terzo punto prescrive di ridurre al minimo i rischi nelle strutture sanitarie e nelle case di cura, e da noi è stata un’ecatombe, che purtroppo nelle Rsa continua, perché si interviene poco e male soprattutto a livello locale. Il quarto punto è sulle misure di sicurezza a scuola e nei luoghi di lavoro: per le scuole abbiamo risolto chiudendole, per i luoghi di lavoro preoccupano soprattutto i mezzi pubblici per andarci, sempre sovraffollati, che rischiano di diventare immediati veicoli di contagio. Poi l’Oms prescrive di prevenire i contagi importati, ed è l’unico target che raggiungiamo ma solo perché al momento praticamente nessuno viaggia più. Infine, si chiede di informare le comunità in modo chiaro e onesto, invece in Italia a parte i quotidiani bollettini che seguiamo da due mesi non sono state raccontate le cose con chiarezza, non sappiamo se dopo che è stato chiesto un sacrificio enorme a 60 milioni di italiani c’è un piano sanitario pronto per il post-emergenza. Dovrebbero spiegare cosa succederà, quali saranno i rischi inevitabili, cosa si pensa di fare per contenerli, non trattarci come bambini. Dovrebbero fare spot per informare sulla nuova app per tracciare i contagi (di cui peraltro si sono perse le tracce) o anche per spiegare il corretto utilizzo della mascherina. Invece – conclude Cattaneo – stiamo per giorni a discettare di cosa si intenda per ‘congiunto’. Anche su quest’ultimo punto, insomma, dobbiamo migliorare”.

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