Cronaca

Chi era Carlo Angela, il padre di Piero che salvò tanti ebrei dalla Shoah

AGI – Piero e Alberto Angela, Alberto e Piero. Il padre scomparso e il figlio che ne raccoglie l’eredità morale e professionale. “Lui ha fatto la sua parte per l’Italia e adesso sono pronto a farla anche io” ha detto Alberto nell’orazione in Campidoglio che ha commosso tutti raccontando in lacrime, ma senza un filo di retorica come sarebbe piaciuto a suo padre, tutto ciò che gli ha trasmesso suo padre a partire dal non avere paura della morte.

Ma i semi del rigore, dell’altruismo e della passione per la scienza che caratterizzano la famiglia Angela arrivano da lontano, per via ereditaria. C’è un’altra persona in famiglia che “ha fatto la sua parte”, prima del grande divulgatore appena scomparso: Carlo Angela, padre di Piero e nonno di Alberto.

Era uno psichiatra torinese che durante la seconda guerra mondiale, nel periodo buio delle persecuzioni nazi-fasciste, nascose uomini e donne ebrei accogliendoli sotto falso nome nella clinica che dirigeva a San Maurizio Canavese e per questo, per non aver esitato a rischiare la sua vita, quando la storia è venuta alla luce dopo parecchi anni, nel 2001 è stato insignito dell’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem di Gerusalemme.

“Li istruiva su come fingersi falsi malati, facendoli passare per matti, e in questo modo li salvò”, aveva raccontato lo stesso Piero. Nato a Torino, con tutta la famiglia durante la guerra era sfollato a San Maurizio Canavese.

Piero, adolescente, ci rimase per un bel po’ di tempo, facendo amicizia con gli ospiti della clinica, quelli che davvero soffrivano di disturbi psichiatrici e i matti finti, che un po’ come per il “morbo di K” la malattia inventata nel 1943 dal primario del Fatebenefratelli Giovanni Borromeo e dall’allora studente Adriano Ossicini per salvare alcuni ebrei italiani dalle persecuzioni nazifasciste a Roma, suo padre aveva ricoverato sotto falso nome e falsa diagnosi.

Con la sobrietà tipica dei torinesi e della famiglia Angela, il patriarca Carlo non raccontò a nessuno quell’atto di generosità, anche se nel febbraio del ’44 se la vide brutta: sospettato e interrogato, rischiò di essere fucilato e si salvò a stento.

“Era già arrivata una squadra di fascisti da Torino per catturarlo. Poi, per una serie di circostanze fortuite, come capita a volte nella vita, si salvò. Era ricoverato allora nella sua clinica un personaggio dell’alta nobiltà piemontese che intervenne in suo favore presso il comandante fascista che voleva farlo giustiziare” raccontò Piero.

Se la storia è venuta alla luce il merito è di Renzo Segre, un ebreo che nei documenti tarocchi della clinica era stato registrato come “dottor Sagrato”. Tenne un diario di quel periodo che rimase a lungo a casa sua, fino a quando la figlia negli anni Novanta lo pubblicò con Sellerio con il titolo “Venti mesi”.

“Così si è saputo quello che mio padre aveva fatto in favore degli ebrei, quanti ne aveva salvati: alcuni li ho conosciuti e identificati, altri no. Ricordo bene Renzo Segre, che ho conosciuto allora, insieme alla moglie. Era una persona terrorizzata, che viveva in una continua attesa di qualcosa di tragico, di essere catturato da un momento all’altro: grazie a mio padre si è salvato”, raccontò Angela che soltanto quando la storia è diventata pubblica e dopo che suo padre è diventato un “Giusto tra le nazioni” ha raccontato a sua volta questa storia familiare. nel suo libro “Il mio lungo viaggio”, che ha scritto per i suoi 90 anni.

La storia di Carlo Angela viene ricordata anche dall’ambasciata di Israele a Roma, che affida a un tweet il cordoglio per la scomparsa di Piero. 

“Unendoci al cordoglio per la dipartita di Piero Angela, giornalista e divulgatore scientifico entrato nel cuore degli italiani, teniamo viva la memoria anche di suo padre Carlo, Giusto tra le Nazioni per aver salvato numerosi ebrei dalle persecuzioni razziali”.

Anche la comunità ebraica di Roma omaggia Piero Angela e sottolinea il legame con il padre Carlo. Lo fa attraverso il rabbino capo Riccardo Di Segni, che uscendo dalla camera ardente allestia in Campidoglio. 

“Il motivo per cui sono qua, anche in rappresentanza della Comunità Ebraica, è duplice – dice -. Prima di tutto la stima e la gratitudine per un grandissimo professionista e soprattutto della comunicazione scientifica, alla quale noi per tradizione siamo molto legati. Il secondo è il ricordo della sua famiglia. Suo padre durante la guerra dirigeva un manicomio e ne approfittò per nascondere e salvare dalla persecuzione nazi fascista numerosi ebrei – ha proseguito – questa storia Piero Angela l’ha raccontata tardivamente e con grandissima sobrietà, senza vantarsi. Faceva parte del suo stile. Tanta gratitudine”.

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