Cronaca

Papa Francesco chiede di rimettere il presepe nelle scuole e nelle piazze

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Pierpaolo Scavuzzo / AGF

Papa Francesco davanti al presepe

Il suo è un messaggio “erga omnes”, certo. Ma è anche probabile che al momento di rileggere la sua lettera apostolica sul presepe, prima di pubblicarla, Papa Francesco non abbia potuto fare a meno di ricordare tutte le volte che nel nome del politicamente corretto un neonato è stato tolto dalla culla per non offendere nessuno. Oppure quando una canzone per bambini dell’asilo è finita ritoccata nel testo e nelle rime, neanche fosse stata una canzonaccia d’osteria.

Si apre il tempo di Natale, che con gli anni si è trasformato in uno dei periodi più paganeggianti del calendario, insidiato forse solo da Halloween. Il Pontefice usa allora toni dolci ma parole chiare: il presepe è l’anima non solo della fede, ma del popolo. Lo volle un uomo inviso ai potenti e vicino alle stalle, che sapeva dell’odore del gregge e a Greccio, ultimo degli ultimi borghi dell’Appennino, ricordò ad un cardinale di nobili natali che Cristo è del popolo. Di più: è popolo.

Se il presepe non hanno mai smesso di farlo nelle case, in questi otto secoli esatti, vuol dire che davvero riflette l’essenza della gente normale. E allora è una vera sciagura lasciare che venga travolto da un’onda di indifferenza.

Chiede, Francesco nella sua “Admirabile signum“, che si torni a rappresentarlo nelle scuole e nelle piazze: esattamente là dove era stato rimosso negli ultimi lustri, con la scusa che non tutti sono credenti e qualcuno potrebbe urtarsene. È vero il contrario: si tratta di “Vangelo vivo”, “esercizio di fantasia creativa” da sostenere “nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali, nelle piazze”. Insomma, al tempo stesso simbolo di salvazione e specchio della più profonda anima popolare. Italiana e no.

“Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme”, sottolinea Francesco nella missiva. Segue una nota attenta ad un distinguo. Il bue e l’asinello, si sa, non sono menzionati nè in Luca, nè negli altri vangeli canonici. Provengono dai vangeli apocrifi, ma non vuol dire che siano interpolazioni degne di teorie cospirative.

“Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento”, spiega Francesco, tuttavia, la “rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali”.

La battaglia contro il consumismo

Non è un caso che la fantasia popolare abbia voluto aggiungere alla rappresentazione veri e propri personaggi spesso dotati di un nome proprio, come il fornaio o il venditore di salumi. Loro vanno benissimo, spiega il pontefice, che si ferma qui, E, fermandosi a questo punto, pare tracciare una demarcazione molto chiara con le statuette di Maradona e o dei politici, degli attori o dei cantanti che qualcuno, ogni tanto, ci infila per far lo spiritoso. Niente di più sbagliato: roba per vendere. Consumismo.

Ora, forse non è un caso che la riflessione sul presepe giunga poche ore dopo un altolà sul consumismo. Francesco di partire per Greccio, celebra la messa con la comunità congolese di Roma. Fede di popolo, che qui si concretizza in balli e canti difficilmente concordi con i canoni liturgici elaborati dal Concilio di Trento. A questi Bergoglio si rivolge ricordando il loro passato – spesso molto recente – da migranti, ed il presente di gioie e delusioni.

Poi aggiunge: “Il consumismo è un virus che intacca la fede alla radice, perché ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto. Il Signore viene, ma segui piuttosto gli appetiti che ti vengono”. Difficile immaginare che si rivolga ad un gruppo di immigrati, talvolta fuggiti dalla guerra che ancora imperversa nel loro paese.

L’obiettivo sembra essere una volta di più l’Occidente ricco e indifferente, dove tutto è scusa per consumare ciò di cui non si ha bisogno, in una corsa all’ammasso che, a suo dire, sconvolge tutto: la mente, l’anima, la scala gerarchica dei valori. Forse è un caso, ma venerdì era il Black Friday, giorno passato dal pontefice in una casa accoglienza della Caritas di Roma.

Oggi le vetrine di Roma stanno esaurendo l’ultimo giorno di saldi iperscontati, e si preparano a riempirsi di offerte per le Feste. Papa Francesco avvia il periodo natalizio non con una polemica, ma con un messaggio a questo mondo che non ama infastidire ed essere infastidito. In termini teologici si direbbe “accidia“, in termini più terreni “vivi e lascia vivere”.

Niente di più pericoloso, nell’insegnamento di Bergoglio, perché distrugge nel più profondo ogni minima voglia di essere, ad iniziare dalle proprie radici. La Chiesa da secoli sa che gli spazi, il territorio, hanno la loro importanza: che siano lasciati vuoti o siano occupati da qualcosa può fare la differenza. Soprattutto se quel qualcosa è un presepe: segno ammirabile, che crea stupore e meraviglia. Perché in fondo, ricorda il pontefice, in quel presepe c’è tutta la nostra anima. 

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