Cronaca

È l’anno dei pop up restaurant, il format food più amato dai grandi chef

instant pop up restaurant food

AXEL HEIMKEN / DPA / DPA PICTURE-ALLIANCE

Jamie Oliver

Sono stati ribattezzati pop up restaurant, che in maniera letterale significa ristoranti “animati”, ma più precisamente vuol dire che nascono dal nulla, per l’occasione. Come le farfalle volano una sola stagione. Aprono in un luogo, chiudono i battenti, poi si trasferiscono altrove per ricominciare tutto d’accapo. Sono i ristoranti “temporanei”, un fenomeno in voga da almeno un decennio anche in Italia.

Anche se l’origine si fa risalire alla fine degli anni ‘70, negli Stati Uniti, tendenza poi sviluppatasi agli inizi degli anni Duemila sulla scia dei temporary shop e che in Europa hanno avuto il loro padre putativo in Jamie Oliver, lo chef che è anche una celebrità televisiva e che ha dato vita nel tempo ad un fenomeno che ha finito per rendere Londra “uno dei migliori posti al mondo per sperimentare i luoghi del cibo no tradizionali”,  si può leggere sulla versione cartacea di LifeStyle, pagine dedicate dell’edizione domenicale de Il Sole 24 Ore.

I pop up restaurant, dunque, possono apparire e scomparire come meteore nei luoghi più insoliti, come lo possono essere i negozi, i musei, le gallerie d’arte ma anche le stazioni, centrali o periferiche, dei treni, ma anche nei parchi o più frequentemente dentro ristoranti già esistenti. In genere si tratta di locali dove gli aspiranti chef o, comunque in genere,   i maestri già stellati propongono una cucina di alto livello per periodi contingentati e assai limitati di tempo. Talvolta persino da un solo giorno a pochi mesi. Un po’ come nascono i funghi, anche se non con la stessa intensità… E frequenza.

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Agf

Heinz Beck

Se poi i luoghi dove questi ristoranti istantanei aprono i battenti sono scenografici a tal punto da poter essere “instagrammati”, tanto meglio, perché la loro immagine farà il giro del mondo degli aficionados gourmet e dunque il successo è assicurato. “Così – si può leggere tra le pagine color salmone del quotidiano di Confindustria – in Costa Smeralda hanno aperto Nobu, Pacifico e il temporary restaurant dello Yacht Club di Porto Rotondo”. Mentre al Forte Village quest’estate è arrivato nientemeno che Heinz Beck, lo Chef de “La Pergola”, il ristorante del Rome Cavalieri Waldorf Astoria Hotel, già Hilton, sul cucuzzolo della collina di Monte Mario con affaccio mozzafiato su Roma, a cui si affiancheranno fino a settembre i pop up dei protagonisti nella “Notte dei Grandi Chef”, tra cui Errico Recanati, Alfio Ghezzi, Andrea Berton, Enrico Cerea, Francesco Sposito, Terry Giacomello.

“Mentre a Firenze – si può leggere ancora – lo chef giapponese Haruo Ichikawa (Iyo di Milano, primo a vedersi riconoscere una Stella Michelin come etnico) ha inaugurato “Magnolia”, il nuovo GastroBar asiatico all’interno del Giardino della Gherardesca del Four Seasons”. I pop upnl corso degli ultimi anni si sono trasformati anche in una originalissima idea di marketing per numerose aziende, quale mezzo di relazioni sociali e di promozione dei propri spazi, renderli vivi e fare anche denaro con altri mezzi. Anche se la tendenza più frequente è quella che vede noti marchi di ristoranti aprire nuovi spazi dentro altri ristoranti con il solo scopo “di fidelizzare i propri clienti” o anche “per acquisirne di nuovi”.

Come accaduto per esempio a Venezia, dove “ lo chef Lionello Cera, 2 stelle Michelin, ha deciso di illuminare la terrazza dell’Hotel Excelsior Venice Lido Resort con un esclusivo pop up restaurant per esaltare e raccontare il meglio della gastronomia locale, reinterpretando i grandi classici della tradizione in chiave contemporanea”. Alla base di questa nova filosofia imprenditoriale c’è la scoperta che “gli ospiti apprezzano la possibilità di provare piatti creati da mani nuove, approfittando di un evento unico e limitato nel tempo”. Come dire? Un’esperienza più unica che rara. Da ricercare, fare e portare con sé nel proprio storytelling sociale.

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Enrico Cerea (al centro)

Poi ci sono anche i casi opposti, cioè quello del ristorante che cambia appositamente location, menù e persino la propria immagine per un periodo limitato nel tempo e trasformarsi in pop up. “Come ha fatto lo chef catanese Philip Guardione che quest’estate ha portato la sua premiata Piccola Cucina (miglior ristorante di New York, secondo il sito Tripadvisor) sia a Ibiza sia in Montana, grazie a una collaborazione con il ristorante Ox Pasture a Red Lodge” si può leggere ancora sul Sole.

O come Marco e Francesca, Th Fooders, che hanno chiuso il loro famoso ristorante Mazzo A Centocelle, quartiere popolare di Roma, per portare la loro cucina in giro per il mondo. Prima tappa Lisbona da “Ona”, “seguita a luglio da Tontine e Yard a Parigi, mentre tra agosto e settembre sono al Carousel di Londra. A ottobre Tokyo presso l’hotel Muji di Ginza, al Cenci di Kyoto e all’interno di un tempio di Kamakura. A novembre presso il Forum Gastronomic di Barcellona. A dicembre faranno il giro di Taiwan. La prima parte del 2020 sarà tra Canada e Stati Uniti”. Ad accompagnare le cene, ci saranno feste, street food “e una cucina in perpetua evoluzione”. E movimento.

Già, e se una volta la pubblicità dell’esercito italiano recitava “arruolati in Marina e girerai il mondo”, ora per scoprire e girare il pianeta basta scendere in cucina…

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