La Campania oggi non è pronta a sostenere eventuali eruzioni, perché tutte le attuali strutture del territorio sono disegnate in gran parte o totalmente senza prendere in considerazione i possibili eventi vulcanici o idrogeologici. È la constatazione di Flavio Dovran, ricercatore, ingegnere termo-fluidodinamico, presidente della Gves e docente della New York University. Dovran è tra i più importanti studiosi del Vesuvio e dei Campi Flegrei e sarà in Campania fino a venerdì per il convegno internazionale ‘Resilienza e sostenibilità delle città in ambienti pericolosi’, organizzato dalla Gves.
“Normalmente le strutture si immaginano in base ai probabili tipi di sismicità che si possono verificare – spiega Dovran – ma se si vuole decidere di abitare in ambienti pericolosi come questo bisognerebbe disegnare le strutture in grado di sostenere la massima portata degli eventi”. Programmare l’evacuazione per un’eruzione di media scala, come accade oggi, equivale quindi a fare “metà del lavoro – ragiona – perché per esempio quella di Pompei del 79 d.C. sarebbe dieci volte più potente e in quel caso i piani servirebbero a poco”. Anche i piani di evacuazione attualmente in uso sono “meglio di nulla”, ma “sono un’operazione forzata e sbagliata, che punta ad allontanare le persone da quel territorio”.
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Un simulatore vulcanico globale
“Uno dei principi fondamentali della sostenibilità – chiarisce Dovran – è invece che la popolazione possa coabitare con l’ambiente dove è nata e cresciuta”. Affinché questo sia possibile, oltre a immaginare un piano di evacuazione per eruzioni su massima scala, Dovran lancia il ‘Vesuvius-Campi Flegrei pentalogue’, cinque azioni da mettere in atto per riorganizzare il territorio e renderlo piu’ resiliente alle possibili eruzioni. Uno dei punti ha al centro il Simulatore vulcanico globale, un modello fisico-chimico-matematico-informatico che simula l’eruzione, a partire dall’accumulazione di magma nella camera magmatica, la salita nel condotto vulcanico e la dispersione nell’atmosfera, con conseguente caduta di cenere e flussi piroclastici.
Dopo aver ipotizzato centinaia di scenari possibili, i dati passano agli ingegneri che progettano le strutture per resistere a questi fenomeni. Il modello ipotizza inoltre la creazione di tre aree concentriche: la più vicina all’eruzione è quella di esclusione, dove non si può abitare; intorno a questo nucleo ci dovrebbe essere una zona più ampia di resilienza, dove si può vivere costruendo strutture in grado di resistere alle eruzioni con minimi danni; all’esterno ci sarebbe l’area di sostenibilità, che subirà lievi effetti dall’eruzione.
Per Dovran la popolazione dovrebbe potersi spostare facilmente, “magari a piedi, in quest’ultima area e, passato l’evento, si dovrebbe recuperare ciò che non è andato distrutto nelle altre due zone”. Gli altri punti riguardano l’educazione e la sensibilizzazione nelle scuole e l’interazione costante tra mondo scientifico e istituzioni che governano il territorio, senza la quale non si può fare effettivamente la gestione del rischio.
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