Cronaca

“Così Oseghale ha ucciso Pamela”. La requisitoria dell’accusa

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 Pamela Mastropietro

“A uccidere Pamela Mastropietro sono state due coltellate inferte da Innocent Oseghale“. È la dura la requisitoria dell’accusa davanti alla corte d’assise di Macerata, dove si sta svolgendo il processo nei confronti dello spacciatore nigeriano accusato di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi la 18enne romana, per poi abbandonarne i resti nelle campagne di Pollenza, all’interno di due trolley.

Il sostituto procuratore Stefania Ciccioli ha spiegato che “l’overdose si deve escludere categoricamente: non c’è stata nè nel senso di mera intossicazione, nè come causa della morte” e che a uccidere Pamela sono state “due coltellate” inferte dall’unico imputato.

“Chiusa a chiave dopo lo stupro”

“Pamela voleva fuggire, doveva tornare a casa, ma non gli è stato permesso” di lasciare l’appartamento di Via Spalato, perché Oseghale l’aveva chiuso a chiave quando è uscito per spacciare hashish: “Pamela era segregata in casa, non poteva fuggire e non aveva il cellulare”, è stata la ricostruzione delle ultime ore della ragazza fatta dal pm.

“Pamela voleva fuggire perché poco prima era stata costretta a subire violenza” e a violentarla è stato il nigeriano, che ha approfittato del fatto che la vittima si trovasse sotto effetto di stupefacenti e, quindi, non in grado di esprimere un consenso”. E che Oseghale volesse “cancellare le tracce di rapporti sessuali” lo conferma “l’estrema accuratezza” con cui ha usato la varechina per lavare il corpo di Pamela (“ma sono state trovate comunque tracce del suo dna”) e l’asportazione dei genitali della ragazza.

“A Oseghale non bastava aver avuto rapporti sessuali con la vittima, lo ha chiesto anche ad altri”, ha aggiunto Ciccioli, riferendosi a Awelima Lucky che, intercettato, parlava di una telefonata in cui l’amico Oseghale gli proponeva di avere rapporti con Pamela. L’imputato conosceva “le condizioni di inferiorità di Pamela ed ha approfittato del suo desiderio irrefrenabile di assumere eroina”.

Gli accertamenti medico-legali 

Lo spacciatore nigeriano ha sempre negato, davanti agli inquirenti e nelle dichiarazioni alla corte d’assise, di aver stuprato Pamela e, soprattutto di averla uccisa. Per l’accusa, invece, non ci sarebbero dubbi.

Tutto il castello accusatorio illustrato dal pm si regge sugli accertamenti del medico-legale, Mariano Cingolani, secondo il quale le due ferite “alla base emitoracica destra” sono state mortali, e del tossicologo, Rino Froldi, che conferma che la ragazza fosse “sotto l’effetto di oppiacei”, ma non in quantità tale da produrre un’overdose. Pamela è “stata attinta quando era ancora in vita”, ha ribadito Ciccioli, che ha parlato di “un’arma da punta e taglio”, che ha colpito generando un’emorragia tale da provocare la morte.

Insomma, secondo l’accusa, “esami scientifici scrupolosi”, confermati anche dai consulenti della parte civile, hanno fornito “risultati univoci”.

C’è un elemento in più evidenziato questa mattina nella requisitoria e che va oltre le due coltellate al fegato: “Il cadavere di Pamela non è stato tagliato come capitava, i medici hanno parlato di una vera e propria disarticolazione cadaverica fatta con perizia”. Le due coltellate al fegato sono state “inferte nel raptus omicida da Oseghale mentre tutti gli altri tagli sono funzionali alla disarticolazione fatta in un secondo momento”, ha osservato.

“Ergastolo senza attenuanti generiche”

“La richiesta per Innocent Oseghale è l’ergastolo e, obiettivamente, non merita attenuanti generiche”. Tocca poi al procuratore Giovanni Giorgio, che con pazienza ha coordinato le indagini sulla morte di Pamela, chiedere ai giudici della corte d’assise di Macerata il massimo della pena per l’unico imputato.

Una conclusione scontata quella dell’accusa, per quanto è emerso nel corso delle indagini e poi ribadito davanti ai giudici attraverso testimonianze e, soprattutto, l’intervento del medico-legale e del tossicologico, che hanno date certezze al castello accusatorio. Ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi e senza alcuna attenuante, perché – secondo Giorgio – il pusher nigeriano “ha mentito, ha scaricato la responsabilità su Desmond Lucky, ha accusato gli agenti del carcere di Ancona di averlo malmenato (di questo episodio è stata interessata la procura dorica, ndr.) e si è deciso a parlare quando non poteva farne a meno”.

Le contraddizioni di un “acrobata della menzogna”

“Oseghale guardava Pamela come a un oggetto con cui soddisfare le proprie necessità sessuali”, è uno dei passaggi della requisitoria di Giorgio. “Acrobata della menzogna” lo ha definito il pm, che ha completato l’intervento dell’accusa, aperto in mattinata dal sostituto Stefania Ciccioli.

La morte di Pamela Mastropietro, avvenuta il 30 gennaio dello scorso anno in una mansarda in Via Spalato a Macerata, “purtroppo non ha testimoni diretti” se non Oseghale, l’unico imputato nel processo, che però “ha cambiato più volte versione”. Oltre alle risultanze delle analisi medico-legali e tossicologiche, ampiamente illustrate nel corso del dibattimento e ribadite dalla Ciccioli, ad accusare il nigeriano ci sono “la dichiarazione di un ex collaboratore di giustizia (l’ex ‘ndranghetista crotonese Vincenzo Marino, ndr.), che non è condizionata da interessi” e le contraddizioni emerse nel corso degli interrogatori a cui il nigeriano si è sottoposto, più o meno volontariamente.

“Ha negato di aver visto il corpo nudo di Pamela – ha ricordato, ad esempio Giorgio -, ma proprio a Marino ha raccontato che la ragazza aveva molti nei sui seni e sulla schiena”. “Ha ammesso di aver avuto un solo rapporto con Pamela a Fontescodella – ha aggiunto -, ma il suo amico Anyanwu confessò che l’imputato gli aveva riferito di aver avuto un rapporto sessuale completo con la vittima nella sua abitazione”.

Il racconto del pentito Marino

“Nessun sadismo” nel comportamento di Oseghale, secondo il procuratore Giorgio, per il quale è chiara anche la violenza sessuale “dopo che la ragazza aveva assunto eroina ed era in uno stato di torpore”. Lo ha confermato il pentito Marino, con il quale Oseghale si era confidato nel carcere di Marino del Tronto, lo hanno confermato i consulenti dell’accusa e le modalità con cui il nigeriano ha tagliato il corpo della ragazza: “In modo difensivo e non offensivo”, per voler cancellare ogni traccia delle sue colpe.

Dopo averle usato violenza, il pusher l’ha lasciata sola in casa a dormire: quando lei si è resa conto che non avrebbe potuto fuggire, ha atteso il ritorno di Oseghale e gli ha detto che l’avrebbe denunciato se non l’avesse fatta uscire. Pamela ha graffiato il suo aguzzino, il cui dna è stato ritrovato sotto le unghie della ragazza, e a quel punto il nigeriano ha perso la testa e le ha inferto la prima coltellata.

Questa la ricostruzione degli ultimi atti di vita di Pamela Mastropietro fatta dall’accusa, completata dalle parole raccapriccianti che il pentito Marino ha ribadito in aula: “A quel punto, Oseghale ha iniziato a fare a pezzi Pamela ma quando si accorse che era ancora viva le ha inferto la seconda coltellata, perché da viva gli avrebbe potuto portare solo guai”.

I difensori di Oseghale hanno chiesto e ottenuto un nuovo sopralluogo nella mansarda dove è stata uccisa la giovane. “Ci è utile per un altro procedimento penale – ha spiegato l’avvocato Simone Matraxia, che difende il pusher nigeriano insieme al collega Umberto Gramenzi – e non ha nulla a che fare con l’omicidio di Pamela”.

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