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È un animale molto schivo, timoroso, e non si conoscono, a memoria d’uomo, episodi di aggressività nei confronti dell’uomo. Un esemplare maschio può arrivare a pesare oltre due quintali mentre le femmine mediamente, pesano la metà. È l’orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus Altobello, 1921) una sottospecie endemica del nostro Appennino centrale descritta, negli anni Venti del ‘900, dallo zoologo molisano Giuseppe Altobello. Per la sua salvaguardia e per quella del camoscio d’Abruzzo venne istituito, nel 1923, il Parco nazionale d’Abruzzo.
Sommario
Letargo e riproduzione
Nel corso dell’inverno, gli orsi marsicani – una vera e propria attrazione per il turismo della zona – si rintanano in cavità naturali o da loro scavate per passare in uno stato di torpore, non un vero e proprio letargo, dai tre ai quattro mesi, a seconda delle condizioni climatiche. In questo periodo le femmine, dopo l’accoppiamento – che avviene in tarda primavera – danno alla luce da uno a tre cuccioli che accudiranno per circa due/tre anni prima di allontanarli e cercare un altro partner. Queste cure parentali così prolungate fanno sì che una femmina si riproduca (a partire solitamente dal 4 -5 anno di età) in media ogni quattro anni. In natura vive anche più di venti anni.
L’intervista a Corradino Guacci
Abbiamo intervistato Corradino Guacci presidente della Società Italiana per la Storia della Faun “Giuseppe Altobello”. Nel convegno di Bologna “Orso bruno marsicano: verso una strategia di conservazione integrata” è stato fatto il punto sulle ultime acquisizioni in campo genetico e morfologico che confermano l’unicità e quindi la preziosità della sottospecie di orso bruno che popola l’Appennino Centrale italiano con una popolazione ormai ridotta a circa 50 esemplari.
Ci può spiegare in cosa consistono?
“Recenti studi, che hanno seguito il nostro appello del 2013, hanno confermato che l’orso marsicano rappresenta una “Unità Evolutiva Significativa” (nel linguaggio dei genetisti di popolazione) o un “distinto linguaggio filogenetico” (nel linguaggio dei sistematici). Le differenze morfologiche soprattutto del cranio erano già note e sono state confermate mentre il primo studio sul genoma ha dato risultati inaspettati, tanto che i tempi di separazione tra orso marsicano ed altri orsi europei sono stati adesso portati ad alcune migliaia di anni. Per questo è oggi necessaria una nuova strategia ad hoc per questo raro endemismo italiano, anzi il più minacciato mammifero italiano”.
Banca genetica, criopreservazione, riproduzione assistita: sta in queste tre parole il futuro dell’orso bruno marsicano?
“La popolazione si stima si aggiri intorno ai cinquanta esemplari. Il territorio del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise rappresenta la sua zona di diffusione principale. Ma non è pensabile aumentare la popolazione all’interno di questo territorio perché è già al limite, tant’è che diversi esemplari, in particolare maschi, compiono spostamenti anche di centinaia di chilometri alla ricerca di un proprio territorio e, possibilmente, di una femmina con cui riprodursi”.
C’è il caso di Ulisse, un orso maschio che partendo dal Parco nazionale, e attraversando barriere impensabili (ferrovie, autostrade e superstrade), è arrivato sui Sibillini dove è stato ripreso, nel giugno del 2009 nella riserva di Torricchio e, dopo aver girovagato tra Marche, Umbria e Lazio, è tornato indietro a morire sui Prati del Sirente, nel gennaio del 2012. Piuttosto la soluzione è quella di creare dei nuclei in altre aree dell’Appennino. Per fortuna sono nati altri parchi sui rilievi dell’Appennino centrale:
- il Gran Sasso Laga,
- la Maiella,
- il Sirente Velino,
- i Simbruini,
- il neonato Matese,
- i Sibillini realizzando una rete territoriale dove l’orso potrebbe tornare a vivere.
Riprende Guacci: “Ma il problema è che le femmine sono “filopatriche”, tendono a non allontanarsi dai siti dove si alimentano, svernano e si riproducono. Quest’anno una femmina, ‘Peppinà, si è accoppiata nel parco della Maiella dando alla luce tre cuccioli, è un segnale molto positivo ma essendo questo se non l’unico, uno dei pochi casi negli ultimi decenni, è assai improbabile che con questi tempi si possa pensare ad un ripopolamento adeguato. Una soluzione proposta consiste nel traslocare qualche femmina selvatica in altri territori dove arrivano i maschi in dispersione. Considerando che il numero delle femmine in età riproduttiva è molto basso, poco più di una decina, è una soluzione a mio avviso troppo rischiosa. Un animale catapultato in un territorio a lui sconosciuto può facilmente andare incontro ad una fine prematura e, considerati i numeri, non ci possiamo permettere un simile azzardo”.
“Diversa è l’idea di costituire una popolazione in cattività con l’obiettivo di aumentare il numero totale degli orsi marsicani viventi ed in particolare delle femmine. La popolazione in cattività potrebbe fornire delle femmine cui affidare il ruolo di fondatrici di nuovi nuclei riproduttivi. La costituzione di una banca genetica, sembra una ovvia parte di questa strategia, ma in Italia non è mai stata valutata sotto il profilo della fattibilità. Non è esente da difficoltà tecniche ed organizzative ma in altri Paesi nel mondo si lavora già in questo settore”.
La banca del seme dunque è ancora un obiettivo lontano? Quali sono i problemi a cui è andata incontro?
“Considerato che il Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise cattura, dall’inizio degli anni ’90, ogni anno un certo numero di orsi per dotarli di radiocollari o per sostituire quelli ormai inutilizzabili, se si fosse intrapresa questa strada, oggi avremmo già una adeguata banca genetica. In effetti basterebbe inserire nel protocollo di cattura anche il prelievo di liquido seminale assieme ad altri tessuti. La presenza degli ospiti spagnoli al nostro convegno va proprio in questa direzione”.
“Nel corso degli ultimi dieci anni hanno messo a punto tecniche, metodologie e strumenti per il prelievo di seme agli orsi bruni. Basterebbe un workshop con questi tecnici per addestrare i nostri veterinari delle aree protette dell’Appennino centrale interessate dalla presenza attuale e/o futura dell’orso per avviare la realizzazione della banca genetica. Il problema sta solo ed esclusivamente nella volontà politica di investire uomini e risorse in questa direzione”.
Se non si interverrà con la banca del seme, l’orso bruno marsicano rischierà davvero l’estinzione?
“I biologi della conservazione devono ragionare nei brevi tempi ma anche a lungo termine. Sebbene la popolazione di orso marsicano è da circa un secolo stabile nei suoi numeri, questo non deve farci dormire sonni tranquilli. L’esiguità dei numeri la espone al rischio di un repentino e brusco calo, ad esempio in caso di una patologia epidemica aggressiva. Questo ed altri eventi demografici possono a lungo andare fare perdere ulteriore variabilità genetica. Non avere una banca genetica significherà non poter tentare un recupero di questa nel caso di uno o più eventi catastrofici”.
“L’unica alternativa sarebbe quella, già suggerita da alcuni, di un “rinsanguamento” con orsi di area balcanica. Ovvero l’operazione già esperita, con successo, in Trentino dove alla fine degli anni ’90 erano rimasti tre esemplari non più in condizioni di riprodursi. Con il progetto Life Ursus vennero rilasciati, tra il 1999 ed il 2002, dieci orsi provenienti dalla Slovenia. Oggi, in Trentino, una vitale popolazione di una cinquantina di individui ha colonizzato le sue montagne”.
“Ma il problema è che se in Trentino gli orsi utilizzati per questa operazione appartenevano alla stessa sottospecie, l’orso bruno europeo, che viveva nei suoi boschi, nel caso della popolazione appenninica un intervento del genere metterebbe fine ad un esperimento che la Natura conduce da migliaia di anni, cancellando la sottospecie marsicana, unica al mondo, e omologando in tal modo la popolazione di orsi in Italia dalle Alpi all’Appennino”.
Ma l’Italia è pronta a fare questo passo? Quanto sono le specie animali tutelate da una banca del seme?
“Come dicevo prima è un problema di volontà politica e di un diverso paradigma scientifico. I gestori della conservazione dell’orso marsicano, il Ministero dell’Ambiente, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA e il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, devono decidere di sposare politiche più incisive e integrative di quelle contenute nel PATOM, il Protocollo di Azione e Tutela dell’Orso Marsicano. Ad oggi le banche genetiche vengono utilizzate per lo più per conservare germoplasma di piante selvatiche e coltivate o liquido seminale di razze pregiate di animali da reddito (bovini, equini ecc.)”.
“Ma ogni paese tecnologicamente avanzato accompagna i progetti di conservazione di specie ridotte ai minimi termini con la costituzione di banche genetiche – vedi la Spagna con lince pardina e la Cina con il panda gigante. Negli Stati Uniti la banca genetica si è dimostrata fondamentale per la sopravvivenza del furetto dai piedi neri, salvato da completa estinzione quando era ridotto a meno di dieci individui”.
Come si procede in questi casi?
“Si dovrà per prima cosa mettere mano alla realizzazione di una banca genetica che, come abbiamo visto, non comporta difficoltà particolari o costi di rilievo ma semplicemente una volontà politica e una acquisizione di tecniche e metodologie. Per la conservazione dei materiali biologici già si sono offerte diverse Università per ospitarli, gratuitamente, nelle loro banche genetiche già esistenti e create per gli animali da reddito”.
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