Cultura

Inge Feltrinelli raccontata dai suoi librai

Inge Feltrinelli raccontata dai suoi librai

Flavio Lo Scalzo / AGF 

 La libreria all’interno della Fondazione Feltrinelli a Milano

“Veniva in libreria due volte al giorno, una al mattino e una al pomeriggio, e riusciva a trovare sempre qualcosa da migliorare. E se doveva rimproverarti, aveva un modo terribile per farlo, senza mezze misure. Ma in quello che diceva aveva sempre ragione, non potevi far altro che riconoscerlo”. E’ il ricordo che ‘la Inge‘  ha lasciato in un “ex ragazzo”, come quelli che anche oggi, con la divisa rossa e la F rovesciata sul petto, curano i 110 negozi in Italia. Un libraio di quelli che, pur lavorando in una grande catena, consigliano i libri lasciando sulle copertine un piccolo foglietto scritto a mano.

La Signora delle librerie

“La signora” la chiama invece Lia Vicari, una delle libraie storiche di Palermo, 33 anni in azienda e una “passione” che non smette e “che deve andare oltre il lavoro”: “Da questo osservatorio particolare e meraviglioso, che abbiamo per conoscere il mondo, cioé le librerie, lei ci ha insegnato a curare le relazioni” ad “amare i rapporti umani”, ha spiegato all’Agi. Quelli, ad esempio, che sapeva tenere “con tutti gli autori”, senza far trasparire preferenze, ma appassionandosi ad ogni nuovo titolo da pubblicare. 

I ricordi di Lia, ora direttrice delle librerie siciliane, risalgono al 1985, quando Inge Feltrinelli “venne in Sicilia perché la casa editrice per ampliarsi aveva deciso un piano di investimenti che partiva dal sud”. E si doveva cominciare da 150 metri quadri di fronte al Teatro Massimo: “Ora sono diventati 1500”. Quel giorno di 33 anni fa – ricorda – Inge “volle che andassi io a prenderla all’aeroporto. Io, ‘la ragazza’ appena uscita dal liceo. La vidi, con quei suoi abiti colorati. Mi disse ‘voglio andare a mangiare un arancione'”. Sorride: “Naturalmente era un’arancina”, che pronunciava con quel suo accento ancora un po’ tedesco. Da quell’arancina sarebbe nata un’amicizia lunghissima, le colazioni “per raccontarsi” in via Andegari a Milano: perché da quell’inaugurazione del 1985, nel giorno del suo compleanno, il filo diretto tra “la signora” e la libraia non si è mai interrotto. 

Inge Feltrinelli raccontata dai suoi librai

Il mito, il dolore

Della sua vita straordinaria, delle interviste a Ernest Hemingway a Pablo Picasso, a Simone de Bauvoir non parlava spesso, e nemmeno del marito Giangiacomo, soprattutto quando era al lavoro. Perché se lei era una donna “dalla vitalità straordinaria”, anche del grande disegno culturale che aveva in mente non aveva ancora tirato le somme: “Era qualcosa di continuamente in divenire, come la sua energia che non si esauriva mai”. “Non era una donna ancorata al passato, ma proiettata sempre al futuro”. 

Quello delle librerie era uno dei progetti più importanti di Inge Feltrinelli. Gli avamposti della cultura, anche sotto un grande marchio, non dovevano essere solo grandi, ma anche familiari, intimi, solidali, sosteneva. E tanti, almeno cento e più, anche nei centri più piccoli.

Da 13 librerie, oggi, quei negozi in legno chiaro con loghi rossi sono moltiplicati e sono collocati nel cuore delle città più belle d’Italia. La chiamavano la regina dell’editoria, ma una casa editrice per lei non era soltanto un marchio sotto il quale stampare libri: era una “missione culturale, coerente con il disegno di Giangiacomo: convincere il mondo che la cultura è un valore contro l’intolleranza, l’incomprensione”.

Una certa idea di cultura

La cultura è “cooperazione tra le persone”. Lo insegnava anche ai suoi librai e ai suoi manager, anche nelle occasioni più informali, perché lei “di lavorare non smetteva mai”. “Una volta a un aperitivo rimproverò due colleghi perché parlavano tra loro: avrebbero dovuto invece confrontarsi con altri, fare anche di quel momento un’occasione per tessere rapporti, relazioni”, spiega un manager della Feltrinelli. Ammettendo che quella figura così vibrante e colorata, anche se ormai anziana, che ha continuato fino agli ultimi giorni ad andare in ufficio, lascerà un grande vuoto nel grande mondo della casa editrice.

C’è anche un Premio Strega perso fra gli episodi più significativi che qualcuno dei suoi collaboratori racconta: “Si sapeva già che il libro vincitore non sarebbe stato il nostro, eppure a cena senza neanche salutarci disse: ‘Allora, che cosa abbiamo fatto per vincere?”. Perché per lei c’era sempre qualcosa che si poteva ancora fare, “per lei non esisteva il fallimento”. All’Hotel delle Palme di Palermo, quando nel 1985 si festeggiò la nuova libreria siciliana, “si decise che la sala giusta era quella dove fu girato ‘Il Gattopardo'” ricorda ancora Lia; il film di Luchino Visconti tratto dal romanzo diventato esso stesso marchio di fabbrica della casa editrice.

I suoi librai continuava a chiamarli “ragazzi”, anche se lavorano in Feltrinelli da una vita e per loro voleva sempre “organizzare qualcosa”. Una festa colorata, come i suoi vestiti e i suoi orecchini. “Quando andava ad una presentazione di un libro, anche fosse della concorrenza, alla fine la più fotografata era sempre lei”.

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