Cronaca

A Milano c’è una casa per bambini che non hanno mai toccato un albero

A Milano c'è una casa per bambini che non hanno mai toccato un albero

 Afp

  Madri in carcere

“Arrivano qui bambini che non hanno mai toccato un albero o comprato un sacchetto di caramelle con la mamma”. Andrea Tollis di quei bambini che hanno trascorso un pezzo di vita in carcere, a volte tutta la breve esistenza, conosce bene ogni desiderio frustrato. Con la moglie Elisabetta Fontana, attraverso la loro onlus ‘Ciao’, dirige la prima casa protetta riconosciuta per madri detenute in Italia (ce n’è un’altra a Roma), un palazzo alla periferia sud di Milano che ospita tre appartamenti autonomi, ciascuno a disposizione di due mamme coi rispettivi piccoli.

Pochi anni di vita, molti in carcere

Donne a cui la magistratura concede di scontare la pena con una misura alternativa al carcere sottraendo così i figli all’oscurità della prigione. “Quando i bambini entrano qui spesso hanno un rapporto simbiotico non sano con la madre e uno sviluppo caratterizzato dalla deprivazione sensoriale. Soffrono di disturbi del sonno e devono fare esercizi di psicomotricità. A volte sono stati anni in carcere”. Bimbi tra gli zero e i sei anni, in media, i cui muscoli e sensi sono rattrappiti dalla galera, ma svelti nel recuperare vivacità anche frequentando le scuole che si trovano a pochi passi dalla struttura.

Il desiderio di rompere con il passato

Più complesso il lavoro con le madri, tutte segnate da storie dolorose prima del momento in cui hanno infranto la legge. “Hanno tra i venti e i quaranta anni – spiega Tollis – le italiane sono poche, per lo più sono africane, sudamericane o dell’Europa dell’est. Non facciamo selezione sui reati, si va dal furto all’omicidio. Spesso hanno subito violenze, come le nigeriane vittime della tratta che portano racconti di orrore. Qui ci prendiamo cura delle difficoltà dal punto di vista relazionale e affettivo, anche mettendo a disposizione degli psicoterapeuti. Stanno con uomini che sono quasi sempre in carcere e quando vogliono tagliare i ponti con loro o con la famiglia d’origine per non commettere più reati subiscono spesso minacce. Capita con le donne rom, ma non solo. In questi casi cerchiamo il più possibile di fare ‘rete’ con la polizia e gli assistenti sociali per proteggerle”.

Vere madri

Eppure, racconta il direttore della casa famiglia, queste donne sanno stupirlo proprio nel ruolo di madri: “Con tutte le difficoltà che hanno, sono capaci di esserlo al di là di ogni aspettativa. Magari non sono le ‘mamme dell’anno’, ma da loro ogni giorno imparo come si possa essere forti e fragili allo stesso tempo. Se poi vediamo che ci sono donne che presentano aspetti di inadeguatezza rispetto alla maternità, le segnaliamo subito”.

“Questa è la nostra vita”

Non c’è una giornata ‘tipo’ nella casa: “Gli orari sono diversi, alcuni bimbi vanno alla materna, altri alle elementari e le donne hanno restrizioni diverse, per alcune per esempio c’è la possibilità di andare a occuparsi di un orto qui vicino. Ma tra loro si creano sempre delle relazioni, mangiano insieme e i bambini giocano negli spazi comuni. Qui festeggiamo tutti i compleanni di ogni mamma e ogni bambino con la torta”.

Qualcuno evade, nonostante i controlli costanti della polizia. “A noi non spetta questa responsabilità – chiarisce Tollis – di notte dormiamo a casa nostra, che è a pochi metri dalla comunità, siamo sempre a disposizione per qualsiasi emergenza. Non ci sono feste o domeniche, questa è la nostra vita”. Anche i figli della coppia sono cresciuti qui: “Gli spieghiamo che le donne sono qui perché hanno fatto qualcosa di sbagliato, vivono tutto in modo molto sano e naturale, giocando con i bambini ospiti. Quando saranno grandi non avranno lo stigma del detenuto come persona che ha sbagliato in modo irreparabile”.

A Milano c'è una casa per bambini che non hanno mai toccato un albero

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  Madri in carcere

Eppure domandano più regole

Quest’anno la Onlus di Andrea ed Elisabetta rinnoverà il protocollo col Comune di Milano, che contribuisce a pagare le spese attraverso la presenza degli assistenti sociali. Un documento di cui condividono le finalità anche il Tribunale ordinario e quello di Sorveglianza. In tutto sono quattro i dipendenti, compresi i coniugi, poi ci sono consulenti (compresi quelli che si occupano della raccolta fondi) e volontari. “Le mamme che vengono qua ci chiedono, sembrerà strano, più regole – è la riflessione che lascia Tollis – sono abituate a contesti in cui gli viene detto cosa fare, anche in modo violento e il carcere poi non è certo una scuola di libertà. La nostra sfida è quella di costruire regole di libertà e di insegnare a queste donne a essere libere”.

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