AGI – Il cinema americano non sarebbe lo stesso senza le inconfondibili musiche di Henry Mancini, così come la musica americana non sarebbe la stessa senza il genio di George Gershwin. Il compositore della Rhapsody in Blue era un ebreo russo, l’autore del tema di Pink Pantker era italiano di sangue abruzzese, e ambedue hanno incarnato sia il mito del self made man, sia il carattere tipicamente statunitense della loro produzione artistica, pur provenendo da un’altra cultura. Enrico Nicola Mancini è nato a Cleveland esattamente cento anni fa, il 16 aprile 1924, da Quinto, originario di Scanno, bellissimo paese oggi meta turistica in provincia dell’Aquila, e da mamma Anna, della provincia di Isernia, allora negli Abruzzi. Enrico Nicola era troppo complicato ed era subito diventato Henry, e il leggero cambio di pronuncia del cognome poteva diventare segno di integrazione nel Nuovo Mondo da cui la famiglia Mancini si attendeva fortuna e prosperità in cambio di lavoro.
Sommario
L’ottavino regalato dal padre emigrato negli Usa
A Quinto la voglia di lavorare non mancava, e infatti lo trovò subito in un’industria siderurgica, ma non gli mancava neppure una caratteristica di molti abruzzesi di provincia che imparavano a suonare e ad amare la musica grazie a quel fenomeno, oggi pressoché scomparso nella sua anima di puro diletto, rappresentato dalle bande e dal maestro di paese che insegnava a trarre suoni da uno strumento anche a chi non sapeva neppure leggere le note. Appassionato di flauto, ne aveva a sua volta insegnato i rudimenti al piccolo Henry regalandogli un ottavino, ad appena otto anni, senza poter immaginare quale fuoco avrebbe acceso nel cuore e nella mente di quel bambino.
Una travolgente carriera tutta in ascesa
Dopo quattro anni passava al pianoforte e alla composizione sotto la guida di Mario Castelnuovo Tedesco, un ebreo italiano, che gli schiuse le porte della Juillard School di New York. L’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra gli impedì di completare gli studi ma il servizio militare lo compì nelle bande dell’Esercito affinando qualità e mestiere. Quindi un’esperienza nella band di Glenn Miller, come pianista e arrangiatore, e l’approdo a Hollywood nel 1952, assunto dalla Universal Pictures. Alla seconda colonna sonora arrivò il successo con la prima di 18 nomination all’Oscar e la conquista di quattro statuette per la miglior colonna sonora e la miglior canzone («Moon River») per «Colazione da Tiffany» di Blake Edwards nel 1962, miglior canzone («Days for wine and roses») nel 1963, miglior colonna sonora per «Victor Victoria» nel 1983, sempre di Edwards. È dal sodalizio con il regista che scaturisce un altro successo internazionale con il tema della Pantera Rosa, dal grande schermo ai cartoon. Mancini firma pagine di grande bellezza come il tema d’amore di Romeo e Giulietta, scrive la colonna sonora della serie tv «Uccelli di Rovo», firma un centinaio di film e incide una cinquantina di dischi, mettendo in bacheca 20 Grammy Awards e 2 Emmy, con circa 500 canzoni. È musica americana nello spirito, nella forma, nella ritmica e nelle armonie, eppure così italiana nello svolgersi della melodia.
Concerti, luoghi, parenti e una via dedicata al musicista
Mancini è morto il 14 luglio 1994 a Beverly Hills. Nel 1947 aveva sposato una cantante, Virginia O’ Connor, che gli aveva dato tre figli: Chris, Felice e Monica. Nel centenario della nascita sono tornati tutti e tre nel paese di origine del padre, Scanno, di cui Henry parlava sempre mentre il nonno Quinto, che era andato via a 17 anni, stranamente quasi mai. L’invito a Los Angeles era partito dal conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila per il progetto «Henry Mancini, un abruzzese a Hollywood» da un’idea del docente di musica jazz Paolo Di Sabatino. Concerti (Monica è cantante di successo negli Usa), scoperta dei luoghi, conoscenza di parenti e di usanze di cui ignoravano l’esistenza: davvero un altro mondo per i tre eredi Mancini provenienti dal Nuovo Mondo. Un ritorno alle radici nel segno della musica di un compositore di respiro universale. A Scanno la via dove Quinto (Quintiliano all’anagrafe) abitava e che nel 1910 abbandonò per cercare fortuna, oggi è intitolata a Henry Mancini.
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