Cronaca

Che fine hanno fatto i soldi che l’Europa voleva prestarci per sistemare argini e frane

prestito bei dissesto idrogeologico

C’era la disponibilità di oltre un miliardo di euro per intervenire sul disastro idrogeologico dell’Italia. Ma questa non è una novità. La notizia, venuta fuori pochi giorni dopo che tutto il Paese è stato flagellato da un’ondata di maltempo che ne ha cancellato parte del patrimonio boschivo e ha riportato interi abitati indietro di un paio di secoli, senza acqua corrente né energia elettrica, è che il governo buona parte di qui soldi non ha voluto usarli. Anzi: non li ha proprio voluti accettare. 

L’esecutivo Conte ha deciso di declinare il prestito che la Banca europea degli investimenti (Bei) era pronta a fare e lo ha fatto per non dover pagare gli interessi. Una scelta che però ora deve fare i conti con un’altra realtà: i soldi che serviranno per far fronte al disastro costeranno molto di più, perché saranno frutto dell’immissione sul mercato di titoli con un rating così basso da far schizzare gli interessi da pagare agli investitori. 

La storia di un piano di interventi finito in un cassetto

Ma per capire come sia accaduto tutto questo, bisogna partire dal 2014, quando il governo creò una struttura che is chiamava #italiasicura. Lo scopo di questa struttura di missione, spiega Avvenire, era di realizzare un piano insieme alle regioni per individuare gli interventi necessari sul territorio e trovare i soldi per finanziarli.

In circa tre anni la struttura aveva portato a termine il lavoro: c’erano i soldi – 1.150 milioni di cui 804 messi a disposizione dalla Bei – c’era l’accordo con governatori e presidenti di regione, c’erano le schede degli interventi. Per partire mancava solo la firma tra governo e regioni, ma il premier Paolo Gentiloni, visto che mancavano solo dieci giorni alle elezioni, decise di lasciare la responsabilità a chi fosse arrivato dopo di lui a Palazzo Chigi.

E chi è venuto dopo di lui ha deciso di prendere quel piano e infilarlo in un cassetto e di dire alla Bei che “no grazie”, i soldi si sarebbero trovati da un’altra parte perché fare debiti sarebbe contrario “all’amministrazione dei soldi pubblici da buon padre di famiglia”. Sono, queste, le parole che il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha usato in una lettera che ha scritto a La Stampa per spiegare che dietro i ritardi dell’attuazione del piano di interventi non c’erano questioni burocratiche, ma una precisa scelta politica. “Gli interessi sarebbero stati pagati da tutti i cittadini” scrive il ministro a proposito dell’offerta della Bei, “E quale padre di famiglia, potendo avere soldi in cassa, preferisce indebitarsi con un mutuo? Oltretutto affrontando complesse pratiche di mutuo di difficile gestione”.

E’ qui che la questione si ingarbuglia, perché secondo le più recenti stime, scrive sempre la Stampa, il fabbisogno finanziario sul dissesto dovrebbe essere almeno 1 miliardo l’anno e il bilancio pubblico ne garantisce meno della metà.

Come doveva funzionare il prestito Bei

Il piano da 1.150 milioni era previsto dalla legge di bilancio per il 2018 e prevedeva l’accensione con la Bei di un mutuo da 804 milioni da spendere in pochi anni per centinaia di opere contro il dissesto idrogeologico, restituendolo con rate da 70 milioni nell’arco di una ventina di anni. 

Questo finanziato dalla Bei, a un tasso di interesse dello 0,70%, aveva la caratteristica di essere destinato soprattutto al Nord, e in parte anche al Centro, proprio nelle Regioni più colpite in questi giorni, scrive Avvenire.

La parte principale era destinata a programmi di prevenzione e messa in sicurezza contro frane e alluvioni, in sei regioni del Nord e in cinque del Centro, oltre alla città di Roma, così distribuiti:

  • Lombardia: 120,7 milioni 
  • Emilia Romagna: 108
  • Piemonte: 101,9
  • Toscana: 99,7 
  • Veneto: 80,7 
  • Lazio: 76,7  
  • Marche: 42,4 
  • Liguria: 35,4
  • Umbria: 34,7
  • Friuli Venezia Giulia: 33,9
  • Provincia di Bolzano: 24 
  • Trento: 16,2,
  • Roma: 30.

Altri 200 milioni erano destinati a progetti per la riparazione di strade, ponti, argini, in collaborazione con Anas, Regioni e Comuni. Interventi che gli enti locali non riescono a realizzare proprio per mancanza di fondi. Invece questa volta c’erano. Gli ultimi 140 milioni erano destinati alla manutenzione straordinaria, soprattutto dei corsi d’acqua, e alla prevenzione dei rischi.

Perché il governo Conte non ha voluto quei soldi

Il nuovo esecutivo preferisce spalmare gli investimenti con i fondi di bilancio ordinari per due ragioni: considera gli interessi un fardello inutile e diffida degli strumenti finanziari. Meglio, quindi, raccogliere i soldi sul mercato dei capitali e fare debito pubblico con obbligazioni di Stato emesse con rating BBB pagando tassi di interesse cinque volte superiori (nell’ultima asta il rendimento dei BTp a 10 anni si è impennato al 3,47%, ai massimi da quattro anni) rispetto a quelli erogati dall’istituto di credito dell’Unione europea che raccoglie capitali con obbligazioni di rating tripla A (il massimo) e li presta agli Stati dell’Ue a tassi agevolati per progetti di interesse pubblico. 

Dove sarebbero stati spesi i soldi della Bei 

Molti gli interventi, alcuni piccoli e medi, previsti:

  • Veneto: 35
  • Lombardia: 64
  • Emilia Romagna: 91
  • Friuli Venezia Giulia:115.
  • Piemonte: 58
  • Lazio: 26
  • Marche: 27 
  • Provincia di Trent: 22
  • Bolzano: 14.

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