Sono passati 10 anni da quando Vito Bongiorno realizzò ‘Terzo Millennio‘, un quadro a tecnica mista di un metro e mezzo per 110 centimetri. Un’opera che allora risultava affascinante, inquietante e fortissima e che oggi appare quasi una premonizione. L’uomo vitruviano sotto un mondo fatto di carbone da cui escono, come lingue malefiche, neri tentacoli di un virus destinato a ucciderlo.
È una delle opere più note di questo artista nato ad Alcamo in Sicilia nel 1963 e diventato poi romano d’adozione dopo aver studiato al Liceo artistico della capitale e aver sviluppato un grande interesse nell’esplorazione della materia in relazione al tempo. Vissuto tra il 1985 e 1987 a Monaco di Baviera e successivamente a New York, oggi è tra i protagonisti più rappresentativi dell’arte contemporanea romana, noto per l’utilizzo del carbone e della cenere, come simbolo dell’amarezza, dell’inquinamento, della malattia e della spaccatura che caratterizzano l’umanità.
Il virus del Terzo millennio
“Quell’opera, il virus che cade sull’uomo vitruviano, risale a un progetto di 10 anni fa – racconta all’AGI l’artista – e oggi sembra abbia quasi un significato premonitore. In realtà tutta la mia opera parla di questo. Il virus che si diffonde in ‘Terzo Millennio’ è quello che ci sta infettando. Ovviamente nella mia mente non era il coronavirus di oggi, ma era in senso più metaforico quell’inquinamento ecologico, sociale, economico e culturale che caratterizza la nostra epoca”. Un virus rappresentato dal carbone, elemento fondamentale delle opere di Bongiorno.
L’artista, che doveva inaugurare a metà marzo una mostra personale alla Galleria Fidia di Roma per continuare una riflessione sull’inquinamento morale e sociale che logora il nostro pianeta, spiega all’AGI di usare il carbone “perché ha un’energia incredibile e al contempo una luce che ti può rigenerare. Le mie opere esposte in questi giorni alla galleria, che si possono vedere ora solo con un viaggio virtuale – aggiunge – sono realizzate con il carbone, materiale primordiale che per me è un elemento chiave per rappresentare l’inquinamento globale, non solo ambientale ma soprattutto socio-culturale. Per me il carbone contiene, nella propria struttura fisica e non solo a livello di metafora, il buio e la luce, la notte e il giorno, la catastrofe e la rinascita”.
Nel corso degli ultimi anni l’artista di Alcamo ha intrapreso una serie di sperimentazioni tra Body Art e Land Art. Nella Body Art Bongiorno considera il corpo come mezzo di espressione artistica, mentre nella Land Art usa l’ambiente come teatro dell’attività creativa. Crea così una fusione tra questi due movimenti artistici nati negli anni Sessanta negli Stati Uniti e diffusisi in Europa e in molti altri Paesi.
Celebri sono le foto delle sue modelle, nude e col corpo dipinto di blu, che durante del performance artistiche si muovono tra le opere – le più celebri sono le cartine geografiche in cui gli Stati sono fatti con carbone – indossando maschere antigas.
“Per me il blu è il colore che rappresenta la purezza, perché penso che ciò che è puro sia semplice e pulito – racconta – che ciò che è puro sia nudo. A un certo punto c’è un passaggio che mi fa pensare a come questa purezza possa toccare e nello stesso tempo trasformare quanto c’è di contaminato e fragile in questo momento sociale che l’umanità affronta. Da qui il carbone che simboleggia la malattia, la spaccatura, l’amarezza e l’inquinamento”. A testimonianza di ciò ci sono le foto della performance del 2012, Terra Mater, tenuta alla Pelanda di Roma dove una modella dipinta di blu con sulla faccia una maschera antigas si muove tenendo in mano un globo terrestre le cui terre emerse sono realizzate con il carbone “a significare l’inquinamento ecologico e sociale che caratterizza la nostra epoca”.
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