(Afp)
Bus dell’Atac in Piazza Venezia, Roma
A Roma tra un mese si tornerà alle urne, anche se una larga parte della popolazione non lo sa. L’11 novembre infatti si svolgerà il referendum cittadino sulla messa a bando di gara del servizio di trasporto pubblico: due quesiti proposti dal comitato Mobilitiamo Roma di Radicali Italiani, che ha raccolto 33 mila firme nell’estate dello scorso anno.
Sommario
Cosa deciderà il referendum sul trasporto pubblico
Con il referendum si chiede ai romani se vogliono o meno che il Campidoglio scelga tramite una gara a chi affidare il servizio di trasporto pubblico, oggi gestito da Atac (azienda al 100% del Comune) con un contratto di servizio fino al 2021. Un voto che, inevitabilmente, sarà anche una valutazione sull’efficenza di Atac, azienda negli ultimi decenni spesso al centro di scandali giudiziari, utilizzata dalla politica cittadina come serbatoio di consenso elettorale, che raramente ha brillato per i risultati nel trasporto.
Non a caso la partecipata ha in corso una procedura di concordato preventivo, visto il debito da 1,4 miliardi di euro che ne metteva a rischio la stessa continuità aziendale. Negli ultimi dieci anni sono state presentate 15 proposte di referendum cittadino ma nessuna è arrivata alla fase del voto. Le ultime votazioni tematiche cittadine risalgono al giugno 1997, per la privatizzazione delle quote comunali di Acea e Centrale del Latte, entrambe passate con pochissimo scarto. I referendum cittadini hanno valore consultivo. In questa tornata esiste una piccola incognita sul quorum.
Il precedente regolamento sugli istituti di partecipazione infatti fissava un tetto minimo di partecipanti del 30% degli aventi diritto per convalidare l’esito della votazione, un vincolo abolito nella nuova versione del testo che è entrata in vigore lo stesso giorno in cui la sindaca ha stabilito la data per i quesiti dell’11 novembre. Finora il dibattito tra Sì e No al referendum si è polarizzato soprattutto sulla gestione pubblica o privata del servizio di trasporto. Il fronte dei favorevoli ha sottolineato che ad una eventuale gara potrà partecipare anche Atac e che il Campidoglio deterrebbe comunque la regia del servizio tramite il contratto di servizio, mentre i contrari hanno ribattuto come gli esempi di privatizzazione del trasporto pubblico locale (tpl) visti finora in città sono risultati fallimentari.
Perché il M5s è assente nel dibattito referendario
Attualmente infatti circa il 20% del trasporto, quello nelle zone più periferiche, viene gestito da Roma Tpl, consorzio di aziende che da anni registra problemi di pagamento dei dipendenti e di qualità del servizio. Il grande assente nel dibattito referendario è il M5s, con la sindaca Virginia Raggi che ha sempre derubricato l’appuntamento alle urne come “consultivo” sottolineando che i romani, votandola nel 2016, hanno scelto il suo programma che prevede di mantenere il servizio di trasporto in mano al pubblico.
Da valutare anche il possibile peso della sentenza del processo alla sindaca, accusata di falso in relazione alla nomina di Renato Marra alla guida della Direzione Turismo del Campidoglio, che arriverà il giorno prima del voto. Il Pd invece deciderà la sua posizione tremite una consultazione degli iscritti.
Le ragioni del sì
“L’idea di questo referendum è venuta dopo anni di annunci da parte dei sindaci, di tutti i colori politici, che promettevano il risanamento contabile e il rilancio del servizio di Atac. Nessuno però è stato in grado di farlo perché non ha toccato il nodo che noi cerchiamo di scardinare con questo referendum, quello del rapporto tra controllore e controllato, in questo caso la stessa entità visto che Atac è un’azienda al 100% del Campidoglio”, spiega Riccardo Magi, parlamentare di +Europa e segretario di Radicali Italiani.
“Con la messa a gara del servizio – aggiunge – cerchiamo di superare questo problema. In questo mese proveremo a raggiungere più cittadini possibile, informandoli che possono esprimere in modo democratico e partecipativo la loro voglia di cambiare la città. Registriamo invece il silenzio da parte dell’amministrazione Raggi, probabilmente per paura che nel voto ci sia anche un giudizio sul loro operato sul trasporto pubblico”.
Le ragioni del no
Per il comitato ‘Mejo de No’, replica Julian Gareth Colabello: “La ragione del voto contrario si fonda sulla domanda su quale modello di gestione vogliamo del trasporto, noi affermiamo che debba essere pubblica. Questo non significa che Atac vada bene, potrebbe essere anche cancellata e rifatta la società ma pensiamo debba rimanere comunque pubblica”. Poi sottolinea: “Ci atteniamo al nostro principio che i beni comuni devono essere gestiti dal pubblico. In questo ultimo mese intensificheremo la campagna social e lanceremo un appello a tutti gli amministratori di Roma a votare No, partendo da principio che dovrebbero evitare di privare la città di beni pubblici”.
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