Cronaca

Papa Francesco: “Viviamo una carestia di pace, il mondo è flagellato da guerre”

AGI – Viviamo “una carestia di pace”, tanti i luoghi del mondo “flagellati dalle guerre” e occorre darsi da fare e continuare a pregare per la pace. Papa Francesco prega per la martoriata Ucraina e per Gaza (l’incendio nel campo dei rifugiati) e nella messa per la Solennità di Cristo Re esorta a non lasciarsi contagiare dall’indifferenza, “brutta malattia” che crea distanze, si guarda “senza far nulla”, “si pensa solo a ciò che interessa” e ci si “abitua a girarsi dall’altra parte”.

È gremita la Cattedrale di Asti, dove il Pontefice ha presieduto la celebrazione eucaristica. In prima fila i cugini di Bergoglio ma da tutti i comuni vicini sono accorsi per salutare il Papa argentino che non ha mai dimenticato le sue origini piemontesi e lo sottolinea lui stesso a inizio omelia precisando di essere tornato “a ritrovare il sapore delle radici”.

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I cugini astigiani del Pontefice

“Ma oggi – continua – è ancora una volta il Vangelo a riportarci alle radici della fede”. Francesco invita a guardare il Crocifisso, il nostro Re “che non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti”. È un Re “a braccia aperte, a brasa aduerte”, ripete in dialetto piemontese. E questa espressione la ripete più volte nel corso dell’omelia.

“Solo entrando nel suo abbraccio” capiamo cha ha abbracciato “tutto di noi, anche quanto di più distante c’era da Lui: la nostra morte”, “il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità e le nostre miserie”. “Lui non osserva la tua vita per un momento e basta, non ti dedica uno sguardo fugace come spesso facciamo noi con Lui, ma Lui rimane lì, a brasa aduerte, a dirti nel silenzio che niente di te gli è estraneo, che vuole abbracciarti, rialzarti, salvarti così come sei, con la tua storia, le tue miserie, i tuoi peccati”, rimarca il Papa esortando a lasciarci amare da Lui, “perché solo così veniamo liberati dalla schiavitù del nostro io, dalla paura di essere soli, dal pensare di non farcela”. Le “brasa aduerte” di Cristo che “dischiudono anche a noi il paradiso, come al ‘buon ladrone'”, aggiunge riferendosi al Vangelo odierno.

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Il buon ladrone, “un malfattore diventa il primo santo: si fa vicino a Gesù per un istante e il Signore lo tiene con sè per sempre”. Guardando il Crocifisso “capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, no: un Dio vicino”, “misericordioso e tenero”, le cui “braccia aperte consolano e accarezzano. Ecco il nostro Re!”.

Quindi il Pontefice, citando il brano della Liturgia, mette in guardia dal “contagio letale dell’indifferenza”, “una brutta malattia”. “L’onda del male si propaga sempre così: comincia dal prendere le distanze, dal guardare senza far nulla, dal non curarsi, poi si pensa solo a ciò che interessa e ci abitua a girarsi dall’altra parte”, dice Bergoglio. “È questo è un rischio anche per la nostra fede – continua -, che appassisce se resta una teoria non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco. Allora si diventa cristiani all’acqua di rose – come io ho sentito dire a casa mia – che dicono di credere in Dio e di volere la pace, ma non pregano e non si prendono cura del prossimo e anche, a loro non interessa Dio, né la pace. Questi cristiani soltanto di parola, superficiali!”.

Il Vangelo parla del buon ladrone “per noi – precisa -, per invitarci a vincere il male smettendo di rimanere spettatori. Per favore, questo è peggio di fare il male, l’indifferenza”, avverte. “Per favore, non fare la spiritualità del trucco: quella è noiosa. Davanti a Dio: acqua e sapone, soltanto, senza trucco, ma l’anima così com’è. E da lì viene la salvezza”.

Tocca dunque a noi scegliere se essere “spettatori o coinvolti“. “Vediamo le crisi di oggi, il calo della fede, la mancanza di partecipazione…”, prosegue e poi si domanda: “Che cosa facciamo? Ci limitiamo a fare teorie, ci limitiamo a criticare, o ci rimbocchiamo le maniche, prendiamo in mano la vita, passiamo dal ‘se’ delle scuse al ‘sì’ della preghiera e del servizio?”.

“Tutti pensiamo di sapere che cosa non va nella società, tutti; parliamo tutti i giorni di che cosa non va nel mondo e anche nella Chiesa: tante cose non vanno nella Chiesa. Ma poi facciamo qualcosa? Ci sporchiamo le mani come il nostro Dio inchiodato al legno o stiamo con le mani in tasca a guardare?”.

“Oggi, mentre Gesù, spogliato sulla croce, toglie ogni velo su Dio e distrugge ogni falsa immagine della sua regalità, guardiamo a Lui, per trovare il coraggio di guardare a noi stessi, di percorrere le vie della confidenza e dell’intercessione, di farci servi per regnare con Lui”.

Al termine della celebrazione Francesco ringrazia per l’accoglienza calorosa ricevuta. E anche qui saluta in dialetto: “A tutti voi vorrei dire che a la fame propri piasi’ encuntreve! (mi ha fatto piacere incontrarvi); e augurarvi: ch’a staga bin! (state bene!)”.

Non manca un piccolo siparietto con il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro. Nel breve saluto di ringraziamento da parte della comunità astigiana per l’incontro “tanto atteso” dalla comunità astigiana, il vescovo sottolinea: “Quando venne eletto Papa lei disse di essere stato preso ‘quasi alla fine del mondo’. Oggi, ci piace pensare che Asti, la terra delle sue radici familiari, possa essere l’inizio del mondo”. “Coraggioso questo vescovo a dire che Asti è l’inizio del mondo. Ci vuole coraggio…” è la risposta scherzosa di Francesco.

Dopo la messa e il pranzo insieme a una trentina di familiari in Vescovado, il Papa si è recato allo stadio comunale della città, dove 1.470 bambini e ragazzi con i loro accompagnatori, lo hanno salutato. Un ultimo abbraccio prima del decollo al Papa che dal sindaco Maurizio Rasero ha ricevuto la cittadinanza onoraria. “Mi sono sempre sentito astigiano”, ha detto il Pontefice, come ha riferito il primo cittadino. 

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