Ricorrono il 24 maggio i 120 anni dalla nascita di Eduardo De Filippo, uno dei più importanti artisti italiani del Novecento che, assieme a Luigi Pirandello, Dario Fo e Carlo Goldoni, è ancora oggi uno degli autori teatrali italiani più apprezzati e rappresentati all’estero. Un gigante che ha elevato il teatro dialettale (nelle sue commedie un po’ ‘addomesticato’ per renderlo fruibile anche fuori da Napoli) a livelli mai raggiunti, che ha raccontato storie universali ambientandole nella realtà spesso minimalista e limitata di Napoli. Ha parlato al cuore e alle menti degli spettatori trovando sempre la chiave per entrare e stabilire un contatto assoluto, immediato.
Figlio naturale di Eduardo Scarpetta, secondo dei tre figli che il commediografo aveva avuto con la nipote della moglie (era sposato con Rosa De Filippo, da cui ebbe tre figli – Domenico, Maria e Vincenzo – ed ebbe una relazione con la nipote acquisita, figlia del cognato, da cui nacquero Titina, Eduardo e Peppino), Eduardo crebbe in teatro, lavorando nella compagnia del fratellastro Vincenzo prima, in altre di cui era direttore artistico poi fino alla compagnia Teatro Umoristico ‘I De Filippo‘ che formò insieme ai fratelli. Un sodalizio artistico difficile con Peppino, che si conclude nel 1944 con una rottura clamorosa che si risanerà solo negli ultimi anni di vita di Peppino (scomparso nel 1980, quattro anni prima del fratello).
Di Eduardo restano una sessantina di commedie, molte delle quali capolavori assoluti del teatro italiano – da ‘Natale in casa Cupiello‘ del 1931 a ‘Non ti pago del 1940, da ‘La fortuna con l’effe maiuscola’ de 1942 a ‘Napoli milionaria!’ del 1945, da ‘Questi fantasmi!’ e ‘Filumena Marturano’ del 1946 a ‘Sabato, domenica e lunedì’ de 1959, da ‘Il sindaco del rione Sanità‘ del 1960 a ‘Gli esami non finiscono mai’ del 1973 – e numerosi film e riprese teatrali delle sue opere. E poi resta lui, Eduardo, con quella sua parlata un po’ strascicata, quell’espressione spesso distratta e sofferente. Un attore immenso che, portando in scena le commedie, ha contribuito alla propria immortalità. Dietro quell’aspetto bonario e un po’ sornione, però, so celava un artista severo, un uomo concreto e autoritario. Anche intransigente.
Questo aspetto di Eduardo, il ‘dittatore‘ del palcoscenico, è stato ricordato da alcuni dei suoi più importanti attori in un libro del 1998 di Italo Moscati (‘Il cattivo Eduardo’ edito da Marsilio) poi ripubblicato nel 2014 (‘Eduardo De Filippo – Scavalcamontagne, cattivo, genio consapevole‘ edito da Ediesse).
E così scopriamo da Regina Bianchi – protagonista di ‘Filumena Marturano‘ in teatro e poi nella versione televisiva che nel ’62 ottenne il più alto indice d’ascolto dell’anno – come si comportava Eduardo nella sua compagnia. “Si dice che era un tiranno. Può darsi, ma non dobbiamo dimenticarci che il teatro ai suoi tempi era molto diverso da oggi – racconta l’attrice, scomparsa nel 2013 -. Non esisteva la democrazia e il regista era il capo indiscusso”.
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“D’altronde un conduttore di una compagnia privata dev’essere così, deve esistere un ‘capataz‘, altrimenti non funziona niente – prosegue il racconto – e gli attori vanno allo sbando. Anche i ritmi delle recite erano diversi. Basti pensare che io ho fatto Filumena provando per soli cinque giorni. Eduardo era severo, ma quando vedeva che gli interpreti avevano fatto proprio un personaggio li lasciava fare”.
Una severità al limite della cattiveria. “Una volta, durante una recita, ritenendo che un attore anziano aveva pronunciato male una battuta – ricorda ancora Regina Bianchi – gli disse a brutto muso di ripeterla, davanti al pubblico esterrefatto, perché non si doveva recitare così. Non ebbe alcun rispetto per i capelli bianchi e non si preoccupò di far fare una brutta figura a quell’attore di fronte agli spettatori. Ma non lo faceva per sadismo. Era il suo modo assoluto di intendere il teatro. Era lo stesso spirito che lo portava ad essere il primo ad arrivare in scena e l’ultimo ad uscirne malgrado fosse il capo della compagnia”.
Non troppo dissimile da quello di Regina Bianchi, l’opinione di Valeria Moriconi, che fu scelta da Eduardo nel 1957 per recitare in ‘De Pretore Vincenzo‘ e nel 1964 interpretò in tv il ruolo della protagonista Margherita nella commedia ‘Chi è cchiu’ felice ‘e me!’. “Eduardo era un uomo fuori del normale ed esigeva cose fuori del normale. Lavorava moltissimo e aveva grande rispetto del teatro. E pretendeva dagli altri lo stesso. Chiedeva a tutti il massimo – ricorda l’attrice, scomparsa nel 2005 -. Voleva che lo si capisse al volo, odiava i leccapiedi, le persone inutili e, soprattutto, non sopportava le chiacchiere. E così, spesso, s’infuriava con attori o addetti ai lavori che, a suo giudizio, non si impegnavano abbastanza e quindi gli mancavano di rispetto”.
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”Era cattivo, se così vogliamo dire, soprattutto con chi usava solo la tecnica – aggiunge -. Per lui era importantissimo che dietro ogni personaggio ci fosse un lavorìo di attore. Voleva vedere la fatica, quasi la sofferenza. Quando si arrabbiava era capace di stenderti a terra, ma lo faceva sempre con ragione”, conclude.
Nel libro di Moscati c’è poi una terza testimonianza che chiude il cerchio della ‘cattiveria’ di Eduardo. E’ di Vincenzo Salemme che nel 1977, a soli vent’anni, lavorò con De Filippo in televisione nella commedia ‘Il cilindro‘ al fianco di Monica Vitti e Ferruccio De Ceresa. “Vorrei sfatare una leggenda: Eduardo non era cattivo – spiega l’attore e regista di Bacoli nell’intervista -. A volte si arrabbiava, ma la cattiveria è un’altra cosa: è freddezza. Credo che questo falso mito sia stato creato da quegli attori che si sono sentiti un po’ trascurati. Spesso interpreti ed addetti ai lavori riversano sull’autore e sul regista le proprie ambizioni e, quando si sentono poco considerati, ne parlano male”. Un’analisi, quella di Salemme, che ‘ammorbidisce’ la fama di dittatore di Eduardo.
Una fama che ormai fa parte della leggenda del personaggio, un autore magnifico al tempo stesso un grandissimo regista e attore che ancora oggi è possibile ammirare grazie alle commedie tv prodotte dalla Rai in un’operazione culturale che Liliana Cavani nel libro di Moscati ricorda così: “All’inizio degli anni ’60 la tv di Stato chiese ad Eduardo un ciclo completo con i testi più importanti e rappresentativi della sua opera. Allora non ci si interrogava troppo sull’Auditel e nessuno pensava che la prosa, che in televisione è seguita da un numero minore di persone rispetto ai film o al varietà, debba essere relegata in fasce orarie secondarie. La Rai si preoccupava soprattutto di essere servizio pubblico. E con Eduardo è stata anche premiata dal punto di vista degli ascolti, basti pensare all’enorme successo di ‘Filumena Marturano’ del ’61 con Regina Bianchi”, conclude la regista.