
Il 29 aprile, dopo una lunga trattativa avviata sin da febbraio dal generale SS Karl Wolff, che su incarico di Hitler deteneva il potere assoluto in Italia, al quartier generale alleato di Caserta veniva apposta la firma sulla resa di tutte le truppe tedesche e di quelle aggregate alla Wehrmacht. Ovvero l’esercito repubblichino e le milizie saloine, che appartenendo a un governo non riconosciuto, non potevano negoziare direttamente. E infatti il Maresciallo Rodolfo Graziani aveva sottoscritto una delega a uno dei due plenipotenziari tedeschi, il maggiore Eugen Wenner per Wolff (SS) e il colonnello Victor von Schweinitz per il generale Heinrich von Vietinghoff-Scheel (Wehrmacht). Erano ambedue in borghese, un particolare molto significativo. Si parla di resa con onore, come se nulla fosse accaduto nei 600 giorni di occupazione. Il documento era stato redatto già il 10 aprile, ma convincere i militari era stata dura anche per l’SS Wolff, impegnato a guadagnarsi l’immunità per i suoi crimini. L’accordo venne siglato alle 14.30 con decorrenza da mezzogiorno del 2 maggio. I tedeschi, al cospetto dei generali William Morgan e Brian Robertson e del sovietico Aleksej P. Kislenko, si impegnavano a non distruggere gli impianti industriali e logistici e le infrastrutture dell’Italia settentrionale; gli angloamericani avevano già rassicurato che non avrebbero consegnato i prigionieri di guerra a Stalin, ma dai patti sono stati unilateralmente esclusi i cosacchi, gli ucraini e i volksdeutsche croati e cechi che venivano considerati paramilitari. Quella resa che abbreviava la guerra sembrava stesse per saltare già l’indomani. Il Maresciallo Albert Kesselring, rientrato dalla licenza di convalescenza, ignaro di tutto e furioso per quella iniziativa che per lui era alto tradimento, ordinò di mettere agli arresti Vietinghoff e il capo di stato maggiore Hans Roettiger. Wolff e Roettiger, come contromossa, ordinarono a loro volta di arrestare gli ufficiali inviati da Kesselring come loro sostituti. Il I maggio l’annuncio alla radio della morte di Hitler fece sì che Kesselring venisse convinto da Wolff che l’evento aveva sciolto automaticamente lui e tutti i soldati tedeschi dal giuramento di fedeltà al Führer. In ogni caso alle 22.30 il generale Traugott ordinò di propria iniziativa alla 10ª armata il cessate il fuoco per le ore 14 del 2 maggio. In realtà, superata l’ostilità di Kesselring, a mezzogiorno non si combattva più, tranne che in isolate zone dove i tedeschi cercarono di riguadagnare la via del Brennero, con altre inutili centinaia di vittime civili e militari.
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