Cultura

Quaranta marinai italiani e francesi assediati per tre mesi da diecimila Boxer

Sotto i bombardamenti con poche scorte di cibo e di munizioni

I fanti di marina italiani erano stati inviati di rinforzo ai francesi dal comandante del distaccamento regio a Pechino, il tenente di vascello Federico Tommaso Paolini. La città ribolliva di violenze animate dalle sette nazionaliste e con l’appoggio più o meno scoperto dell’esercito regolare imperiale. La missione cattolica, che si estendeva per circa un chilometro quadrato, era divisa in due parti: una a nord occupata dalle suore, l’altra a sud dai missionari. In un primo tempo vi avevano trovato rifugio circa 600 cinesi cristiani, ma il numero era rapidamente cresciuto fino a 4.000. Agli italiani era stato assegnato il presidio del settore settentrionale. Dal 5 al 15 giugno, periodo che scorre in relativa tranquillità (e infatti non si verifica alcun attacco), vengono approntate le opere di difesa, con terrapieni di rinforzo dei muri di cinta e linee di trincea per fronteggiare la prevista aggressione dei Boxer. I cattolici cinesi che riescono a raggiungere la missione raccontano infatti di violenze indiscriminate ed esecuzioni spietate in città.

Il sottotenente di vascello Olivieri guida la resistenza

Olivieri dispone continui turni di guardia di due ore e divide il suo drappello in due reparti mobili affidandoli al secondo capo cannoniere Pietro Marielli e al sottocapo cannoniere Regolo Zappi. Nel pomeriggio del 15 circa duecento Boxer armati di sciabole, lance e coltelli, riconoscibili da una sorta di uniforme bianca e blu con una cinta rossa, lanciano il primo assalto.

A luglio per la fame vengono macellati i cavalli e i cani

Il 24 giugno viene attaccata direttamente la parte nord tenuta dagli italiani. Un gran numero di Boxer muove all’attacco dopo il fuoco intenso dell’artiglieria, ma le linee dei marinai tengono e aprono ampi varchi tra i cinesi col tiro dei moschetti. Gli uomini di Olivieri devono proteggere 14 suore e 900 donne in uno scenario di guerra. I giovani cinesi aiutano nel ripristino dei terrapieni e alcuni missionari, tra i più giovani, imbracciano il fucile. Il 26 viene scatenato un attacco ad alta intensità dal sovrastante muro imperiale, settore di più difficile difesa. Alla fine del mese più di metà delle cartucce è stata sparata e ne rimangono pochissime centinaia, per un assedio che non si sa fino a quando potrà durare. Nessun volontario che si è offerto per andare a chiedere aiuto alle legazioni torna indietro. Ma a Pe-tang i Boxer non sfondano, nonostante le grandinate di proiettili e gli incendi che appiccano continuamente. Nel primo periodo dell’assedio, scriverà Olivieri, “ho constatato con immenso piacere che i miei uomini sono degli ottimi elementi”. A luglio, per la fame, vengono macellati i cavalli e i cani.

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Ma gli assediati, nonostante le perdite e lo scarso numero, resistono persino ai razzi incendiari cinesi e a un intenso e preciso fuoco di artiglieria ben protetta, contro cui è inutile sprecare munizioni per cercare di neutralizzarla. Il 9 luglio duemila cinesi si rovesciano a ondate contro le posizioni franco-italiane, ma ogni tentativo viene respinto, così come quello del giorno dopo. Olivieri annota pure che quando la fame sarà insopportabile si dovrà attaccare alla baionetta con una disperata sortita.

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