Cronaca

No, Kasia Smutniak non la pensa come Salvini sul razzismo in Italia

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GABRIEL BOUYS / AFP
 

 Kasia Smutniak

Articolo aggiornato alle 17,30 del 9 novembre 2018 con il chiarimento di Kasia Smutniak

Sui social network gira una dichiarazione di Kasia Smutniak estrapolata da un’intervista rilasciata a Grazia: “Ho vissuto in tanti Paesi, mi considero un po’ zingara, ma di un fatto sono certa: in Italia non c’è odio razziale, anche se qualcuno vorrebbe convincerci del contrario”.

I commenti sono stati numerosissimi, ma a fianco a quelli dei classici ultras da tastiera una buona fetta di utenti si chiede, più che altro, quanto possa essere assunta ad esempio la storia della attrice e modella polacca. Arrivata in Italia da extracomunitaria, può essere assunta a paradigma dell’esperienza di chi subisce (o potrebbe subire) odio razziale.

Da dove viene Kasia

Proviamo a ripercorrere la strada ha portato la Smutniak nel nostro Paese. Kasia, nome d’arte di Katarzyna Anna, nasce a Varsavia, in Polonia, nell’agosto del 1979, è figlia di un generale dell’aereonautica polacca e vive la sua infanzia all’insegna dei rigidi meccanismi militari; cosa che in Polonia negli anni del confronto tra Solidarnosc aveva un senso ben preciso.

A 17 anni arriva seconda ad un concorso di bellezza, dice ai suoi genitori di volersi prendere un anno sabatico dopo il liceo, ma in realtà da lì prende il via la carriera di modella che la porta praticamente da subito a girare letteralmente il mondo per un lungo periodo, fin quando, nel 1998, arriva in Italia.

La carriera di attrice

Passano un paio d’anni e Panariello la ingaggia per il suo film “Al momento giusto”. Ne passano quattro e diventa la testimonial della campagna pubblicitaria della TIM. Lascia la passerella e si inizia a consolidare la carriera di attrice, arrivando, a parte le innumerevoli fiction per la tv, ad essere diretta per il grande schermo da registi di prim’ordine come Enrico Oldoini (“13dici a tavola”), Renzo Martinelli (“Carnera – The Walking Mountain” e “Barbarossa”), Davide Ferrario (“Tutta colpa di Giuda”), Pierre Morel (“Froma Paris with love”), Carlo Mazzacurati (“La passione”), Ferzan Ozpetek (“Allacciate le cinture”), i fratelli Taviani (“Maraviglioso Boccaccio”), Paolo Genovesi (“Perfetti sconosciuti”), Luciano Ligabue (“Made in Italy”) e Paolo Sorrentino (“Loro”). Interpretazioni che le valgono 6 Nastri D’Argento e un Globo D’Oro.

Quando la Polonia non era nell’Ue

Tra le centinaia di interviste reperibili online la Smutniak non disdegna mai di parlare del suo passato, anche dei periodi più complessi, quelli pre-caduta del muro di Berlino, quando per Natale sotto l’albero trovava caramelle e arance, oppure quelli che la vedevano girovagare per il mondo ancora minorenne, dovendo badare a se stessa in un ambiente difficile come quello della moda.

Poi il trasferimento in Italia, la carriera di attrice, due figli, avuti il primo da Pietro Taricone e il secondo da Domenico Procacci, la stabilità. “Qui vivo ancora da straniera, – continua nell’intervista a Grazia – ma quando torno a trovare i miei, mi sento a tutti gli effetti italiana. Sono stata accolta a braccia aperte quando la Polonia non faceva ancora parte dell’Unione europea e io, per rinnovare il permesso di soggiorno, dovevo mettermi in fila alle cinque del mattino”. Le sue dichiarazioni sono particolarmente piaciute al Ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha prontamente condiviso sui propri social l’intervista commentando: “Fa piacere che anche nel mondo del cinema c’è chi usa il buonsenso”.

Ma l’impressione è che Kasia Smutniak abbia semplicemente espresso un’opinione che, considerato il suo vissuto, non poteva essere diversa e che non ci fosse alcun retropensiero di matrice politica e men che meno salviniana. Anzi, al contrario, visto il turbinio di commenti scaturito, tramite Instagram ha deciso di chiarire definitivamente il concetto: “Ah beh, qua tocca precisare. Nonostante i miei 20 anni in Italia evidentemente ancora non mi si capisce . Nella mia recente intervista su Grazia intendevo dire: non credo che l’odio razziale faccia parte del dna di questo Paese, non definirei Italia un Paese razzista. Questo è quello che ci vuole far credere qualcuno, che per pura propaganda politica, lavorando sull’intolleranza, la non accettazione, la chiusura, ci sta convincendo del contrario, ci sta portando all’idea che questo sia davvero diventato un Paese razzista”.

E la chiusa del post non potrebbe essere più definitiva, con l’hashtag #sisalvinichipuò.

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