Cultura

Il sogno di una civiltà immaginaria nelle 53 opere della biennale di Nemrut

AGI – Archeologia e arte contemporanea si incontrano nell’est della Turchia, dove da quest’anno le opere di 53 artisti provenienti da 23 diversi Paesi, Italia inclusa, sono state installate nell’inimitabile scenario della provincia di Adiyaman, presso siti archeologici simbolo del Paese, meta irrinunciabile di un numero sempre maggiore di turisti provenienti da tutto il mondo.

La Biennale d’arte di Nemrut, alla prima edizione, nasce sotto il segno della ricerca di una “Civiltà immaginaria”, un concetto spiegato ad AGI da Nihat Ozdal, curatore dell’iniziativa. “Il caos, la violenza, le guerre di quest’epoca ci costringono a una riflessione più profonda sul concetto di civiltà. La sfida di questa biennale è quella di creare una civiltà immaginaria da zero, in luogo che per millenni è stato la culla di culture, popoli e imperi che hanno contribuito al progresso dell’uomo“.

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© Giuseppe Didonna

provincia di Adiyaman, Turchia

E la scelta non poteva che ricadere su un territorio in cui i primi uomini si sono insediati 4 mila anni fa, dando vita a una catena ininterrotta di civiltà che giunge fino ai giorni nostri. L’impero di Komagene, fondato dove prima avevano regnato Ittiti, Mitanni, Aramei, Assiri e il secondo impero ittita. Una regione che non è sfuggita alla dominazione persiana, prima dell’arrivo di Alessandro Magno e l’avvento dell’Impero Romano d’Occidente.

Una catena che continua fino ai giorni nostri passando per la dominazione Omayyade, l’impero Bizantino e Sassanide, l’invasione selgiuchide, mamelucca fino a Tamerlano e alla definitiva dominazione da parte dell’impero Ottomano, iniziata nel 1516 e divenuta poi l’odierna Turchia.

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© Giuseppe Didonna

Opere della Biennale di Nemrut in Turchia

Una lista lunghissima di civiltà e culture che hanno lasciato le proprie tracce, preziose e indelebili, incastonate come diamanti in una regione povera, che per anni ha sofferto per gli scontri tra l’esercito turco e i separatisti curdi del Pkk, ma che oggi è sicura e pronta ad aprirsi definitivamente al turismo.

“La civiltà è nata qui, dove scorre l’Eufrate ed è qui che siamo tornati per dar vita all’idea della nascita di una nuova civiltà. L’area ha ancora molto da offrire dal punto di vista archeologico e le opere esposte si incastrano al fianco di reperti di valore inestimabile per dare al visitatore una doppia prospettiva, sul passato e sul futuro”, spiega il curatore Ozdal. E la prospettiva non manca di certo per chi decide di visitare i luoghi di questa biennale davvero speciale.

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© Giuseppe Didonna

Opere della Biennale di Nemrut in Turchia

Tre sono le opere installate sulla cima del monte Nemrut, intorno a un santuario realizzato in onore del re Antioco di Komagene nel 62 a.C. Un luogo dal fascino unico dove altari e statue alte 10 metri furono trasportate da uomini e animali fin sulla cima del monte più alto della Mesopotamia Settentrionale.

Uno scenario che all’alba e al tramonto vede le pietre dipingersi di rosa per rimanere per sempre impresso nella mente di chi ha la fortuna di assistere a questo spettacolo che si ripete tutti i giorni.

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© Giuseppe Didonna

provincia di Adiyaman, Turchia

Altre 5 opere, tra cui quella dell’italiano Stefano Bosi Devoti, sono situate ad Arsameia, santuario fatto costruire da Antioco I in onore del padre Mitridate dove spiccano una enorme stele scritta in caratteri cuneiformi, tunnel e bassorilievi di grande raffinatezza, come quello che raffigura Antioco che stringe la mano ad Eracle.

Altro luogo della biennale il tumulo dell’Aquila Nera (Karakus Tumulusu), monumento funebre che si compone di una colonna con un aquila sulla cima e altre due colonne affiancate poco lontane. La prima dedicata alla regina Isia, le colonne alle principesse Antiochis e Aka di Komagene, è ritenuto uno dei più antichi monumenti al mondo interamente fatto costruire in memoria di donne, circa nel 30 a.C. da Mitridate, e oggi ospita 4 opere della biennale.

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© Giuseppe Didonna

 Opere della Biennale di Nemrut in Turchia

Poco lontano due opere, più alcuni concerti in programma, hanno trovato spazio in un luogo che i romani chiamavano il ponte dei Severi, oggi Cendere Koprusu, il secondo ponte romano ad arco per lunghezza (120 metri), magnificamente incastonato all’ingresso di una gola formata dal passaggio del fiume Cendere, affluente dell’Eufrate.

Costruito dalla VI legione Gallica in onore dell’imperatore Lucio Settimio Severo, della moglie Giulia Domna e dei figli Caracalla e Publio Settimo nel 120 a.C., come si legge nella stele in latino visibile, la struttura ancora oggi sorprende per colpo d’occhio, eleganza e imponenza e merita una visita con magari un tuffo rinfrescante nel fiume, ridotto a torrente.

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© Giuseppe Didonna

Opere della Biennale di Nemrut in Turchia

La maggior parte delle opere, ben 33, tra cu quella dell’italiano Critiano Carotti, sono situate nel castello di Kahta. Costruito dai Mamelucchi nel 1260, la struttura ha resistito ad assedi, guerre e invasioni, ceduto, è stata ricostruita fino ad essere effettivamente utilizzata fino al 1926 come avamposto dalle truppe dell’impero ottomano.

Le mura si insinuano sulla linea della montagna e quasi scompaiono mimetizzandosi una volta che la prospettiva si allarga sull’intera vallata alle spalle della struttura rivelando il baratro di 200 metri che la separa dal fiume che scorre intorno 3 dei 4 lati della fortezza. Ultimo luogo, il meno antico, ma altamente suggestivo, sono le isole formatesi con la diga costruita sul fiume Eufrate nel 1990.

Uno scenario surreale, creatosi con l’intervento dell’uomo sulla natura, dove le 9 opere sono raggiungibili grazie a barche di pescatori che d’estate portano turisti e locali a fare un tuffo in queste calde acque e ora a visitare le installazioni. Lo scrittore e filosofo sofista Luciano di Samosata (120 d.C.), considerato uno dei padri della satira, nacque a pochi chilometri da qui e a lui è dedicata la scelta di utilizzare le isole come logo per la installazione di opere e la creazione di una nuova civiltà.

Civiltà le cui contraddizioni e storture il filosofo ellenistico, sebbene di lingua madre siriaca, non mancava mai di mettere a nudo nei propri scritti cercando di far riflettere, proprio come questa biennale.

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