
Angela Grignano
Era rimasta gravemente ferita nell’esplosione dello scorso anno a Parigi. Aveva rischiato di perdere l’uso di una gamba, ma già dopo le prime operazioni i medici prospettarono soluzioni praticabili. A un anno di distanza Angela Grignano, 25enne italiana espatriata in Francia per seguire il sogno di fare della danza una professione, è tornata perfino a ballare. Tanto da organizzare nella sua Trapani una commemorazione delle tre vittime (due pompieri e una donna di origine spagnola) dell’incidente avvenuto nel quartiere Opera della capitale francese.
Si era trasferita lì per continuare gli studi nel settore dello spettacolo e imparare il francese, ma nel frattempo lavorava in un hotel. Era appena uscita per accendersi una sigaretta quando l’esplosione provocata da una fuga di gas la investì in pieno. A Trapani Angela Grignano ha parlato con l’AGI dei suoi progetti e delle sue speranze.
Prima di tutto, come procede la riabilitazione?
Sta dando i suoi frutti, rispetto alle aspettative dei medici sono più avanti nel percorso, adesso il problema non è più la gamba, ma il piede. È bloccato, non si muove, mi fa molto male e anche se lo maschero abbastanza ho ancora dei forti dolori. Cercheremo con la riabilitazione di arrivare fino a un punto che ci siamo prefissati, se non dovessimo raggiungere l’obiettivo potrei essere sottoposta ad altri due interventi. Già ne ho fatti otto, se arrivo a dieci spero mi diano un premio.
Al risveglio dal coma, si era prefissata l’obbiettivo di tornare a ballare, come sta andando?
Ancora zoppico quando cammino, ma se ballo tutto cambia: è come se non avessi niente. Ho ballato con mio zio al quale ho fatto una sorpresa andandolo a trovare, a Parigi ho fatto una bachata con un dj e i miei fisioterapisti, e nessuno quando ballo si accorge che ho un problema alla gamba. E tra l’altro quando ballo non sento neppure il dolore: sarà la concentrazione…
Adesso quali saranno i prossimi step?
Gli ultimi 5 mesi li ho passati a Parigi in una clinica per la riabilitazione intensiva. Adesso l’obbiettivo è trasferirmi di nuovo lì, continuarla per tre giorni a settimana e studiare nei restanti, vorrei migliorare le lingue e prendermi la laurea specialistica. Devo stare ferma? Allora ne approfitto così. Quando sto troppo in piedi mi devo sedere, idem quando resto seduta per troppo tempo. Ancora non posso tornare a lavorare, poi non sono una da ufficio. Ci sono tante altre cose da poter fare e sto anche iniziando a scrivere un libro.
Ha mai ripensato a quello che è accaduto quel giorno?
Mi sono ripromessa più volte di non piangere nel ricordare quella giornata. Quest’esperienza mi ha rinforzato, ma non posso dimenticare i pompieri che sono morti, con cui ho parlato poco prima dell’esplosione. I miei colleghi sopravvissuti come me la vedono come una data nera, e sicuramente non è una data arcobaleno, ma bisogna guardarla in maniera positiva, è l’unico modo che per andare avanti: siamo vivi. Per il resto della mia vita penserò a loro in questa data e vorrei ricordarli così, che sorridono e si riscattano in questa seconda possibilità.
Sin dalle prime ore si parlò di quattro feriti gravi, tra di voi siete rimasti in contatto?
Ci siamo sempre tenuti in contatto Un vetro squarciò il ventre del collega che era accanto a me quando ci fu l’esplosione. Fu lui che ai soccorritori disse “prendete prima lei” perché ero più giovane e stavo messa peggio, nonostante lui stesse perdendo troppo sangue. Ci facciamo forza a vicenda.
Ha letto che, secondo le indagini francesi, l’esplosione sarebbe causata da una rottura, in parte già segnalata nel 2015?
Dentro di me avevo capito che poteva trattarsi di una negligenza sul lavoro, era l’unica motivazione razionale, gli effetti dell’esplosione sono stati paragonati a quelli di 40 chili di esplosivo, certo sapere che c’era stata una prima segnalazione nel 2015 mi mette rabbia. Sin dal primo momento però ho preferito non pensarci, ormai è accaduto. Spero che da questo esempio sia un invito a una maggiore attenzione.
Per trasmettere la vicinanza con i familiari delle vittime ha ideato anche un’iniziativa, ce la racconta?
Sono felice di passare questa giornata nella mia città, mi hanno raccontato di una Trapani unita che io ho sentito durante il coma con le preghiere, ma che non ho avuto modo di vedere. Vorrei fare arrivare il pensiero di solidarietà anche a Parigi. Ho pensato che se ognuno accendesse una candela, rilanciandola con alcuni hashtag, per farli arrivare a Parigi. Tanti amici sono sparsi per il mondo, così potremmo sentirci più vicini. La luce è per me esemplare in questo percorso e questo è un modo per sentirci piu’ uniti.
Mentre era ricoverata i suoi familiari hanno lanciato anche una raccolta fondi per sostenere le spese di riabilitazione. Com’è andata?
C’è stata una risposta energica che mi ha colpito. In molti hanno contribuito e sono stati fondamentali per coprire le spese, dai biglietti aereo alla permanenza a Parigi. È stato uno dei modi in cui mi è stata dimostrata tantissima vicinanza. La sento anche come una responsabilità e se un giorno o l’altro dovessi ricevere un risarcimento, so bene che quei soldi non saranno miei e ho già in mente un bel progetto.
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