Sembra un giallo perfetto quello che si sta sviluppando in queste ore seguite al ritrovamento di ossa in un edificio di pertinenza di Villa Giorgina, sede della Nunziatura Apostolica in Italia, cioè dell’ambasciata della Santa Sede in Italia. Si tratta di un edificio che gode dunque di extraterritorialità non per essere inserito nei Trattati Lateranensi ma per la sua funzione diplomatica. Per la stessa ragione è presidiato dall’Arma dei Carabinieri e questo dal 1959, da quando cioè ha assunto la sua funzione di rappresentanza diplomatica, il che rende difficile immaginare che possa esservi stata condotta una ragazza rapita o anche consenziente e a maggior ragione che possano esservisi tenuti festini o altre attività non istituzionali. Ed infatti le fonti vaticane già ieri sera invitavano alla prudenza su possibili legami tra il ritrovamento e casi di cronaca. Consiglio che ovviamente nessuno può seguire, anche se alla ricerca di collegamenti tra il ritrovamento delle ossa e il caso Orlandi alcuni media sono incorsi in errori evidenti, come quello di collocare alla Nunziatura don Pietro Vergari che fu coinvolto (e scagionato) nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
In realtà il sacerdote umbro collaborò per un periodo con la Penitenzeria Apostolica, allora guidata dall’arcivescovo francescano Gianfranco Girotti, mai con la Nunziatura Apostolica. Un sito a suo tempo aveva fatto confusione tra i due organismi vaticani che condividono una parte del nome ma non il proprio indirizzo (la Penitenzeria inducendo ora nello stesso errore chi consulta Internet alla ricerca di notizie sul caso Orlandi. Monsignor Girotti e don Vergari avevano lavorato insieme a Regina Coeli aiutando i francescani che ne detengono la cappellania. In carcere Vergari aveva conosciuto Renatino De Pedis poi sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare della quale il sacerdote diocesano era all’epoca rettore. Come è noto al momento della riesumazione di De Pedis, contrariamente alle attese, non furono trovate le ossa della Orlandi.
Villa Giorgina, sede attuale della Nunziatura, fu donata nel 1949 alla Santa Sede da Isaia Levi, industriale torinese e senatore, che spiegò personalmente a Pio XII di essere riconoscente alla Chiesa per essersi salvato dalle persecuzioni razziali grazie all’opera del Papa. Dieci anni dopo Papa Giovanni XXIII spostò gli uffici della Nunziatura nella sede attuale. L’edificio in stile neoclassico fu costruito nel 1920 dall’architetto Clemente Busiri Vici. La costruzione mostra anche reminiscenze del XVII e XVIII secolo, con largo uso di materiale architettonico dell’antichità. Il portale dell’ingresso proviene da Villa Doria Pamphilj e riporta l’iscrizione latina “Inter Sidereos Roma Recepta Polos”, tratta dal poema De reditu suo di Claudio Rutilio Namaziano (V secolo). Il parco è occupato da piante quali cedri, palme, pini romani, accompagnate da numerose fontane. Dopo la firma dei Patti Lateranensi nel 1929, la prima sede della nunziatura della Santa Sede in Italia fu una villa lungo via Nomentana, oggi occupata dall’ambasciata libica.
La villa de ‘Gli Indifferenti’
Un’altra circostanza curiosa è che la villa è descritta da Alberto Moravia ne “Gli indifferenti”, quando all’epoca era nota come Villa Levi, e si trovava di fronte alla residenza dello scrittore durante gli anni della sua infanzia. “La villa che Moravia aveva in mente quando nel 1925, a diciotto anni comincio’ a scrivere ‘Gli indifferenti’ era vicino casa sua. Si chiamava Villa Levi, oggi si chiama villa Giorgina, in via Po 27. Era la villa che Moravia aveva di fronte a casa, durante l’infanzia segnata dalla tubercolosi ossea secca (‘il fatto più importante della mia vita’, ebbe a dire lo scrittore) che lo costrinse a letto per cinque anni, i primi tre a casa, un villino in via Gaetano Donizetti oggi demolito, e gli altri a Cortina, nel sanatorio Codivilla. Moravia in pratica fino al 1932 non conosceva Roma, ma solo la zona dove abitava, via Pinciana, Villa Borghese e il quartiere Sebastiani, all’epoca quasi campagna”, scrive Lorenzo Pavolini. “Davanti a casa nostra c’erano campi di grano, la gente ci veniva a fare l’amore”, confidò lo stesso Moravia che ha raccontato in più occasioni l’episodio della madre che prende una carrozza a piazza Barberini e chiede di essere portata in via Giovanni Paisiello, e si sente dire dal vetturino: “E che, abiti alla foresta nera, signo’?”.
A villa Giorgina infine viveva quella che diventerà la moglie di Renato Guttuso, Mimise Dotti. Guttuso è stato amico di Moravia, ne ha dipinto uno dei migliori ritratti. Il villino dove abitava la famiglia Moravia in via Gaetano Donizetti fu demolito, al suo posto c’è una palazzina costruita dall’impresa Garboli. La casa di via Giovanni Sgambati è diventata l’Albergo Villa Borghese.
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