Cronaca

Sta piovendo plastica?

plastica nella pioggia

MILES ERTMAN / ROBERT HARDING PREMIUM / ROBERTHARDING

Montagne Rocciose, Stati Uniti

“Sta piovendo plastica”, si intitola così un nuovo studio che sta portando ulteriore allarmismo riguardo un problema del quale da qualche tempo è al centro del dibattito ambientalista: l’enorme quantità di microplastica presente nell’acqua. Una scoperta, quella realizzata e poi documentata da Gregory Weatherbee, come racconta lui stesso a The Guardian, avvenuta per puro caso, mentre analizzava campioni di acqua piovana nella zona delle Montagne Rocciose per studiare eventuali segnali di inquinamento da azoto.

I risultati sono stati sconvolgenti: “C’è più plastica là fuori di quanto sembri – ha detto Weatherbee – È sotto la pioggia, è nella neve. Fa parte del nostro ambiente ora”. Lo scienziato parla di un “arcobaleno di fibre di plastica”. Una scoperta accidentale che però va a confermare un altro studio, stavolta svolto in Francia, dove analizzando acqua piovuta sui Pirenei si sono avuti risultati simili.

Non è quindi un problema isolato ma il dubbio, che si fa sempre più certezza, è che nell’intero pianeta, di fatto, davvero, ci stia piovendo addosso plastica. “Un importante contributo al problema deriva dalla spazzatura”, ha affermato Sherri Mason, ricercatore di microplastiche e coordinatore della sostenibilità presso Penn State Behrend. Oltre il 90% dei rifiuti di plastica non viene riciclato e, man mano che si degrada lentamente, si rompe in pezzi sempre più piccoli.

“Le fibre di plastica provengono anche dai vestiti, ogni volta che li lavi – ha detto Mason – e le particelle di plastica sono sottoprodotti di una grande varietà di processi industriali”. E prosegue “È impossibile rintracciare i piccoli pezzi alle loro fonti ma quasi tutto ciò che è fatto di plastica potrebbe spargere particelle nell’atmosfera. E poi quelle particelle vengono incorporate nelle goccioline d’acqua quando piove”, finendo dunque in fiumi, laghi, baie e oceani, filtrando anche naturalmente nelle fonti di acque sotterranee.

Una situazione molto grave di fronte alla quale anche il mondo della scienza non può che alzare le mani; sono circa dieci anni infatti che è cresciuta la preoccupazione rispetto alla plastica negli oceani, dieci anni di ricerche e ancora gli esperti non sono riusciti a circoscrivere una zona di studio che copra più dell’1% del problema; e ancora meno si sa dell’impatto della plastica su aria e acqua dolce.

Lo ammette anche Stefan Krause dell’Università di Birmingham: “Non abbiamo davvero iniziato a quantificarlo”. Ma non è tutto, la parte della questione forse più allarmante è che ancora la scienza non ha nemmeno capito se sia un problema risolvibile: “Anche se agitassimo una bacchetta magica e smettessimo di usare la plastica – prosegue Krause – non è chiaro per quanto tempo la plastica continuerebbe a circolare attraverso i nostri sistemi di acque dei fiumi. Basandomi su ciò che sappiamo della plastica trovata nelle acque profonde e accumulata nei fiumi, immagino secoli”.

Ciò che sappiamo al momento è che certamente uomini e animali bevono, mangiano e respirano micro particelle di plastica, ora la priorità per la comunità scientifica mondiale è capire quali sono i danni per la salute, anche perché le microplastiche possono anche attrarre e legarsi a metalli pesanti come mercurio e altri prodotti chimici pericolosi, nonché batteri tossici. E sull’argomento torna a parlare Mason “Potremmo non capire mai tutti i legami tra plastica e salute. Ma sappiamo abbastanza per dire che respirare la plastica probabilmente non è un bene, e dovremmo iniziare a pensare a ridurre drasticamente la nostra dipendenza dalla plastica”.

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