Cronaca

La Cassazione: “Marco Vannini non sarebbe morto se fosse stato soccorso in tempo”

 La morte di Marco Vannini “sopraggiunse” quale “conseguenza” sia delle “lesioni causate dal colpo di pistola” che della “mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”. Le motivazioni della sentenza della Cassazione riguardo all’omicidio Vannini non sembrano lasciare dubbi in proposito.

La prima sezione penale nella sentenza depositata oggi spiega perché, un mese fa, decise di disporre un processo d’appello-bis per Antonio Ciontoli e i suoi familiari, annullando la sentenza di secondo grado, che, con la riqualificazione del reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo, aveva ridotto la condanna al principale imputato da 14 anni a 5 di reclusione.   “Una condotta omissiva – scrive ancora la Corte – fu tenuta da tutti gli imputati nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi”. 

Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente”, osserva la Suprema Corte, “restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”: tutti, si legge nella sentenza, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”. Questa sequenza di azioni “rende chiaro”, osservano i giudici di piazza Cavour, che “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Marco Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”.

“Si coglie anche più della reticenza” nel comportamento di Martina Ciontoli in relazione a un punto che emerge dalla ricostruzione investigativa sull’omicidio del suo fidanzato Marco Vannini. Lo sottolinea la Cassazione, nella sentenza depositata oggi, con la quale spiega perché, il 7 febbraio scorso, ha disposto un processo d’appello-bis, in accoglimento dei ricorsi della procura e delle parti civili, per l’intera famiglia Ciontoli. “All’infermiera”, le cui dichiarazioni “sono state confermate da quelle dell’autista” dell’ambulanza, “una ragazza bionda, poi riconosciuta in Martina Ciontoli, non appena ella giunse presso l’abitazione della famiglia Ciontoli, disse di non sapere cosa fosse successo, perché lei non era stata presente”, si evidenzia nella sentenza.  

In ogni caso, osserva la Corte, “presente o meno che fu al momento dello sparo, è certo che accorse subito sul luogo” e che quindi “ebbe sul fatto le stesse informazioni degli altri suoi familiari”.  Di reticenza la Cassazione parla anche in relazione al comportamento di Maria Pezzillo, moglie di Antonio Ciontoli e madre di Martina, e di suo figlio Federico Ciontoli: entrambi, al momento della prima telefonata al 118, “erano portatori di un sapere” perché “avevano appreso della versione del colpo a salve e, vera o falsa che fosse, non la riferirono benché richiesti”.

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