Cronaca

Il primo pensiero di Traini è sempre Pamela. Anche dopo la conferma della condanna

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 Pamela Mastropietro

Anche dopo aver ascoltato la sentenza della corte d’assise d’appello di Ancona, che ha confermato i 12 anni di carcere inflitti in primo grado, il primo pensiero di Luca Traini è stato per Pamela Mastropietro, la 18enne romana il cui cadavere è stato trovato, fatto a pezzi, il 31 gennaio dello scorso anno.

Ha chiesto “verità” per quella ragazza, convinto che Innocent Oseghale, il nigeriano condannato in primo grado all’ergastolo, “non ha fatto tutto da solo”, esattamente come pensa la famiglia della vittima. Per vendicare la morte di Pamela, tre giorni dopo la scoperta di quell’orrendo omicidio, Traini decise di prendere la sua Glock e di sparare: ferì sei nordafricani, colpì le vetrine di un bar e di una sezione del Pd, seminò il panico in tutta Macerata.

Ma prima di farsi arrestare dai carabinieri davanti al Monumento ai Caduti, in pieno centro, vestito del tricolore italiano e dopo aver fatto il saluto fascista, ha detto di essere stato a Pollenza, “in raccoglimento lì dove era stata ritrovata”. E sempre nel nome di Pamela, dopo i primi tre mesi di detenzione piuttosto complessi, Traini ha scritto, con l’aiuto di un altro detenuto, un libro che racconta il suo raid e che vorrebbe pubblicare per ricavare fondi da girare a tutti coloro che ha danneggiato.

Secondo lo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, che aveva redatto una perizia per conto della corte d’appello di Macerata, l’azione vendicativa di Traini, nel nome di Pamela, era legata “a uno stato emotivo e passionale”, che però non gli ha impedito di essere lucido, capace di intendere e volere.

“L’efferata fine di Pamela, la cui notizia fu accresciuta dai mass-media con particolari raccapriccianti, che mai ho ricordato a memoria di cronache , mi toccò e mi tocca profondamente”. Luca Traini lo ha messo nero su bianco: è uno dei passaggi del suo pentimento, scritto di suo pugno su sei paginette consegnate ai giudici del primo grado. è il 3 ottobre 2018, sono passati otto mesi dal raid e il suo chiarimento arriva in ritardo: è il pensiero della procura e, soprattutto, dei giudici che lo condannano a 12 anni di carcere per strage, porto abusivo d’armi, danneggiamenti con l’aggravante dell’odio razziale.

Una sentenza accolta in pieno anche in corte d’assise d’appello. “Quello di Traini lo ritengo uno dei cosiddetti crimini d’odio, commessi da persone che hanno un orientamento ideologico molto forte”, aveva detto il capo della procura di Macerata, Giovanni Giorgio, un anno fa. Parole che accompagnano quelle che Giancarlo Giulianelli ha sempre ripetuto al suo assistito: “Luca, il percorso che ti aspetta non sarà facile”. 

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