Cronaca

Cosa succede nell’unico cimitero con crematorio di Milano

Qui è dove vengono portati tutti i milanesi che hanno scelto di farsi cremare. Cimitero di Lambrate, a poca distanza dalla stazione di quello che era un tempo un popoloso comune operaio, dove Luchino Visconti girò ‘Rocco e i suoi fratelli’. Il camposanto si estende su un’area di 230 mila metri quadri, con larghi prati orlati da miriadi di margherite. La cella frigorifera dell’unico posto dove chi vive a Milano può farsi incenerire ora non ce la fa più.

La capienza massima di 140 posti per le bare è esaurita da giorni a causa dell’incremento di morti per il coronavirus e quelle che non ci stanno più, spiegano all’AGI alcuni ‘scaricatori’ all’interno del camposanto, sono lasciate fuori dalla struttura che le dovrebbe conservare al gelo.

Le bare non puzzano – garantisce uno di loro – perché ci premuriamo di lasciare fuori dalla cella solo quelle che devono essere cremate in giornata”. Ma è chiaro che, al ritmo serrato con cui arrivano le persone decedute in questo periodo, la situazione non potrà prolungarsi per evidenti ragioni igienico-sanitarie.

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© Foto di Manuela D’Alessandro

Nei giorni scorsi il Comune di Milano aveva stabilito che nel forno crematorio non ci sarebbero stati più  nuovi ingressi fino al 30 aprile, ma sarebbero state accolte solo le bare di chi aveva già ‘prenotato’ l’incenerimento. Il tempo medio di attesa, in questo momento, è di 20 giorni e va considerato che il 70 per cento dei milanesi, sceglie di non finire sottoterra.

“Solo questa mattina – racconta un operatore del cimitero che sta all’ingresso – sono entrate 75 bare, una sessantina per la cremazione e il resto per essere tumulate. Prima dell’emergenza, ne arrivavano una quarantina”. Da fine mese i familiari potranno portare il congiunto che vuole essere cremato in altre città oppure potranno scegliere di non accogliere le sue volontà e farlo seppellire.

In mattinata, è continuo l’andirivieni dentro il cimitero di chi viene per assistere alla tumulazione. “Non ho nemmeno capito dove l’hanno messa”, si lamenta un signore anziano andandosene dalla poderosa struttura costruita tra il 1957 e il 1960.  Sono gli unici che possono entrare.

Ai cittadini è interdetto l’ingresso anche se alcune persone si sono avvicinate per entrare le stesso e, stupite dal no degli addetti, hanno chiesto per quale ragione non potessero dare un saluto ai loro cari. Vietato accedere anche a chi vuole dire addio alle persone che vanno verso la cremazione. 

Così l’ultimo sguardo verso il proprio defunto viene dato, in modo stringato, nell’area degli autobus di piazza Caduti e dispersi di Russia. Un uomo, arrivato con la sua auto, e tre donne guardano in silenzio per pochi minuti la bara appoggiata nel mezzo delle pompe funebri adornata dai fiori rosa e dal drappo con la scritta ‘Con tanto amore’.

Poi lui sale a bordo e se ne va, con una potente accelerata, il volto contrito e le lacrime che scendono sul volante. Restano loro. “Siete parenti della persona morta?”. “Sì, una delle tante”, risponde una, come se il coronavirus avesse privato di identità i morti, risucchiandoli nella vorace statistica.  

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