Cronaca

Cosa rischia chi si macchia di odio razziale, anche online 

odio online segre 

Flavio Lo Scalzo / AGF 

Liliana Segre 

I casi di odio razziale sul web, attraverso i social network, come quelli, oggi alla ribalta delle cronache, di cui è destinataria la senatrice a vita Liliana Segre, possono essere puniti in sede penale contestando agli autori, quando questi siano identificabili, il reato di diffamazione, con l’aggravante prevista dalla Legge Mancino.

Questo, infatti, è l’indirizzo giurisprudenziale che si è sviluppato intorno a tale tema: la diffamazione sussiste anche quando realizzata attraverso mezzi quali Facebook, Twitter, così come sulle pagine di un sito web, e, in episodi in cui si realizzano – o si istigano – la discriminazione e l’odio per motivi religiosi, razziali o etnici, la pena sarà più severa con l’applicazione dell’aggravante.

La legge Mancino – che prende il nome dell’allora ministro dell’Interno – entrata in vigore con decreto legge nell’aprile del 1993 e convertita nel giugno dello stesso anno, prevede, all’articolo 3, che “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà”.

Inoltre, la stessa normativa (dal titolo ‘Misure urgenti contro la discriminazione razziale, etnica e religiosa’) prevede la reclusione fino a un anno e 6 mesi – o una multa fino a 6 mila euro – per chi propaganda “idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”, oppure “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e il carcere da 6 mesi a 4 anni per chi, “in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

In base alla legge Mancino, inoltre, “è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”: chi partecipa a organizzazioni di questo tipo o “presta assistenza alla loro attività”, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni.

La pena è più severa – reclusione da uno a 6 anni – per coloro che “promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi”. Nella legge, poi, sono previste “disposizioni di prevenzione”: chiunque, “in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali” di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che incitano a discriminazione e razzismo “è punito con la pena della reclusione fino a 3 anni”.

Con lo stesso articolo si vieta la propaganda fascista e razzista negli stadi, disponendo che “è vietato l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con emblemi o simboli” di tal genere e “il contravventore è punito con l’arresto da 3 mesi ad un anno”. Reclusione da 6 mesi a 2 anni, infine, per “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a 3 anni”. 

Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Post simili: