Cronaca

Buoni spesa e mafia. In Calabria è polemica

Paese che vai usanza che trovi. Africo, centro di 3000 abitanti della Locride, nega i buoni spesa governativi a persone condannate o indagate per reati di mafia, mentre a pochi chilometri di distanza, a Cirò Marina e Strongoli, nel Crotonese, vale il principio opposto: priorità alle famiglie dei detenuti per l’assegnazione dei benefici studiati dal governo per evitare gli assalti ai supermercati a causa della depressione provocata dall’emergenza del coronavirus.

In tutti e tre i casi, accomunati dallo scioglimento degli organismi elettivi per ingerenze della ‘ndrangheta, le commissioni prefettizie, davanti alle polemiche, hanno fatto, in tutto o in parte, retromarcia. Il Comune di Africo è retto dai commissari dal 2 dicembre dello scorso anno.

Una prima delibera era stata adottata il 31 marzo scorso. Nell’avviso pubblico relativo alle “Misure Urgenti di solidarietà Alimentare” decise dal governo, si specificava che nelle domande riferite al nucleo familiare il richiedente avrebbe dovuto allegare una dichiarazione con cui si attestasse che all’interno del suo nucleo familiare non ci fossero persone con condanne definitive per associazione mafiosa o sotto processo per gli stessi reati.

Una decisione subito criticata dalla politica, ma anche da esponenti del mondo del cultura. Alla loro testa Gioacchino Criaco, scrittore che ad Africo è nato e vissuto. All’AGI spiega perché: “Non c’è niente di polemico – dice – ma solo il diritto dei cittadini di Africo di essere considerati italiani come tutti gli altri loro connazionali. Probabilmente – aggiunge lo scrittore – nella concitazione dovuta all’emergenza è stata assunta una decisione sbagliata. Sono convinto che ragionando i commissari torneranno sui loro passi”.

Il timore manifestato da Criaco è che i suoi concittadini, in assenza di risposte da parte delle istituzioni, si rivolgano altrove. “Se parliamo di bisogno e lo stato non risponde, è possibile che lo facciano altri. E’ un rischio concreto – aggiunge – nei paesi della Locride, un comprensorio ad alta densità mafiosa. Africo – continua – è un paese fragile, non respinge lo Stato, ma lo chiama. Alla ‘ndrangheta non interessano i 10 euro di un buono spesa, ma alle famiglie sì. I sindaci ricevono richieste da parte di mamme che non hanno i soldi per comprare il latte per i figli. Se chi ha un debito con la giustizia non ha diritto ad un aiuto per mangiare, ne devo dedurre che lo Stato dovrebbe lasciare morire di fame i detenuti ai quali invece garantisce un pasto”. L’altro aspetto che Criaco contesta  è il silenzio della politica. “Deputati, sindaci, consiglieri regionali – lamenta – su questa vicenda tacciono. È un silenzio pauroso”.  

 Fra le voci levatesi un sindaco in verità c’è, come ricorda lo stesso scrittore. E’ il primo cittadino di Roghudi, Pierpaolo Zavettieri. “Un requisito così restrittivo – dice – visto il clima in cui viviamo, potrà salvare da possibili rischi amministrativo-penali, ma non dalla propria coscienza”.

A dire che i  comuni dovrebbero inviare alle procure gli elenchi delle persone che chiedono i benefici era stato Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, considerato un’autorità in materia di lotta alla ‘ndrangheta, come magistrato e come studioso del fenomeno.

Ma se Africo nega i buoni ai condannanti per mafia, dopo una prima delibera dei commissari che estendevano il campo degli esclusi dal sostegno economico anche agli indagati e alle persone sotto processo, i due centri del Crotonese avevano visto nella presenza di detenuti nelle famiglie un requisito da privilegiare, suscitando la reazione di due parlamentari grilline, Elisabetta Barbuto e Margherita Corrado, rispettivamente deputata e senatrice. “Troviamo disdicevole – hanno dichiarato attraverso un comunicato – inopportuna e pericolosa una priorità genericamente accordata a “famiglie di detenuti” in contesti ad alta densità mafiosa e ci rammarichiamo davvero molto che i rischi insiti in una scelta così  avventata, non siano stati percepiti e scongiurati da chi sul territorio sostituisce, per conto dello Stato, quanti, pur legittimati dal voto popolare, hanno dato prova di essere al servizio del malaffare invece che della comunità”.

Ne seguiva una richiesta di chiarimenti al prefetto di Crotone e al ministero dell’Interno. Il chiarimento c’è e arriva direttamente dai commissari dei due Comuni. Le delibere incriminate, spiegano all’AGI, sono state rettificate, per cui le famiglie di detenuti non avranno alcuna priorità rispetto alle altre in condizioni di disagio economico.  

Abbiamo provveduto subito a rettificare la delibera – spiega Gianfranco Ielo, commissario prefettizio di Cirò Marina – anche se credo ci sia stato un errore di interpretazione. Noi, stilando i criteri per i beneficiari, non intendevamo scavalcare nessuno. Quello delle famiglie dei detenuti non è uno status al quale noi abbiamo dato priorità, ci mancherebbe. O meglio, quelle possono ricevere il bonus solo e soltanto se sono in difficoltà esattamente come tutti quelli che ne fanno richiesta. Tutto va valutato dai Servizi sociali e dalle forze dell’ordine che fanno controlli. Non abbiamo pensato che scrivere ‘famiglie di detenuti’ potesse essere un requisito. Si è deciso di rettificare la delibera – continua il commissario Ielo – per evitare altre strumentalizzazioni”. 

Anche da Strongoli la commissione, guidata da Umberto Pio Campini, fa sapere di aver provveduto a rettificare il suo avviso trattandosi di un mero errore materiale. “Le direttive della commissione – precisa Campini – sono comunque quelle riportate nell’allegato della delibera da cui si evince in modo chiaro che nella modalità di individuazione della platea degli aventi diritto all’assegno non vi è alcun riferimento a detenuti”. 
 

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