Cronaca

Né razzista, né sessista, ‘Tolo Tolo’ è un “film poetico sui migranti”

Zalone Tolo Tolo migranti

Maria Laura Antonelli / AGF 

Tolo Tolo

“Mi aspettavo qualche polemica sul trailer del mio film, ma non avrei mai pensato di finire sulle prime pagine o al centro dei talk show. Dopo i primi tre giorni le ho seguite, poi mi sono stancato e comunque alla fine per ‘Tolo Tolo‘ sono state un bel battage pubblicitario”. Così Luca Medici, in arte Checco Zalone, ha commentato a Roma, durante la conferenza stampa seguita all’anteprima del suo film, la mancata comprensione (e le relative recenti accuse di razzismo) del suo ironico trailer, spiegando quindi il suo punto di vista sulla “dittatura” del politically correct: “Prima dell’avvento dei social non era così, oggi anche pochi commenti negativi sul web vengono subito amplificati dalla stampa”, ha chiarito, rispedendo al mittente anche le accuse di sessismo relative al trailer: “Sessismo e maschilismo non mi appartengono, nel film non ho mai spogliato la protagonista Idjaba, mai fatto vedere una tetta, né il didietro. Anzi, sarà lei nella finzione a portare tutti noi in salvo, ci tenevo”.

“Tolo Tolo non è un film su persone che cercano un futuro diverso, ma semplicemente un futuro. Mette in scena la realtà contemporanea con il sorriso e con un tocco magico e poetico”, ha commentato il produttore Pietro Valsecchi presentando il film che uscirà nelle sale cinematografiche il primo gennaio, con oltre mille copie.

È la storia di Checco, imprenditore fallito di un concept – sushi restaurant incompreso nel suo paesino pugliese che per sfuggire a tasse e creditori si trasferisce in Africa a lavorare come cameriere in un resort. Sarà presto costretto, causa guerra e miliziani, a far ritorno in patria, aggregandosi alla tortuosa rotta dei migranti, tra pullman gremiti, camminate nel deserto, barconi bloccati in porto, campi di prigionia conditi dalle battute di Zalone, momenti di musical e un finale in cui il film si trasforma in cartoon. Regista, protagonista e autore delle musiche, Zalone firma soggetto e sceneggiatura con Paolo Virzi’.

La scrittura ha richiesto un anno e mezzo, ‘Tolo Tolo’ è stato girato in venti settimane tra il Kenia, il Marocco, la Puglia, Roma e Trieste: “Un film impegnativo e costoso, con tante comparse, cartoni animati, effetti – ha spiegato Valsecchi – valeva la pena aspettare Luca, assente dai cinema da quattro anni, e sono felice di aver tenuto a battesimo la sua prima regia”. Accanto a Zalone recitano Antonella Attili, nel ruolo di sua madre, Manda Toure’, in quello della bella Idjaba, il piccolo keniota Nassor Said Birya, 12 anni, in quello di suo figlio Doudou (“ti chiami come il cane di Berlusconi” e’ la battuta iniziale di Zalone) e l’esordiente Souleymane Sylla in quello di Oumar, altro compagno di migrazione. Nel cast ci sono anche Barbara Bouchet, ricca signora con toy boy, ospite del resort, Nicola Di Bari, nel ruolo dello zio di Checco e Nichi Vendola, che interpreta se stesso in un cameo.

Il film prodotto da Pietro Valsecchi e distribuito da Medusa dovrebbe fugare anche ogni dubbio di razzismo: in bilico sul crinale del politically correct, oltre a un Zalone che in viaggio con i migranti imita Mussolini con le mani sui fianchi (” Ho pensato di raccontare così l’intolleranza che viene fuori nei momenti di crisi, non per niente nel film la paragono alla patologia della Candida”) ‘Tolo Tolo’ mette in scena le proteste degli italiani nei porti, e al bambino keniota che viene espulso dall’Italia fa dire la celebre battuta salviniana “la pacchia è finita”.

“Salvini è espressione della gente, forse sarà la gente a sentirsi chiamata in causa, ma non mi pongo questo problema” ha spiegato Zalone, a cui piacerebbe che i primi a vedere il suo film fossero il Papa e il Presidente Mattarella. Il regista-protagonista ha chiarito di non aver voluto mettere in scena un politico in particolare con il personaggio pugliese che prima disoccupato compie una folgorante escalation politica: “È un personaggio metaforico, gli ho fatto fare la carriera di Di Maio, l’ho vestito come Conte e lo faccio parlare come Salvini“.

A Zalone stava più a cuore, ha chiarito, mettere a fuoco “l’egoismo congenito dell’uomo“, attraverso il personaggio che interpreta: “Nella sequenza iniziale, in Africa, scoppia la guerriglia, scoppiano le bombe e io non vengo toccato da quello che succede intorno a me, perché il mio personaggio, concentrato sui suoi guai, è incapace di guardare verso gli altri”. A chi in conferenza stampa gli ha chiesto se gli spettatori sapranno cogliere l’ironia che avvolge un tema così cruciale come quello dei migranti ha citato ‘La storia’ di Francesco De Gregori: “La gente sa benissimo cosa fare, quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare”.

Non è stato semplice, ha ammesso, trovare la chiave giusta: “Ho scelto di trasformare la scena in cui il barcone dei migranti viene affondato dalle onde in un momento onirico, trasformandolo in musical con una divertente canzone di speranza – ha detto – Si poteva rischiare di cadere nella presa in giro o, al contrario nel moralismo, ma l’ho spiegata ai ragazzi che dovevano interpretarla e loro si sono commossi”.

A difendere il regista e la sua ultima creatura è anche l’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, che a margine della conferenza stampa di ‘Tolo Tolo’ ha analizzato con l’Agi il film in cui appare in un cameo: “Zalone fa bene a non buttarla in politica, non ce n’è bisogno. Ma il film è molto politico, parla chiaramente a chi ha fatto della disumanità la cifra della propria propaganda quotidiana”. Vendola interpreta sé stesso, mentre, intento in operazioni di giardinaggio in un magnifico trullo (“non è mio”, scherza) al telefono con Zalone che dall’Africa gli chiede aiuto in denaro per pagare il suo riscatto, risponde con verbose argomentazioni in perfetto stile Vendola: “Tolo Tolo’ fa sorridere e commuovere, è un film che turba e sono orgoglioso di averne fatto parte” .

A Zalone Vendola riconosce la maestria di fotografare “i luoghi comuni sul razzismo, la disabilità, i migranti, l’omosessualità” e spiega di essere stato commosso da due scene, quella del piccolo migrante che ritrova suo padre in Italia e quella dell’onda che travolge la barca dei migranti: ” Fa impressione, è una scena che quasi ogni giorno si ripete nel Mediterraneo, in quello che è diventato il più grande cimitero liquido del mondo – chiarisce – e trovo straordinaria la soluzione cinematografica di concluderla in forma di musical, con dei sommersi che si salvano. Credo che al di la’ delle maschere che ci costruiamo, vedere l’umanità nelle sue pene e nelle sue speranze sia la chiave del film di Checco”. 

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