Cultura

La verità sul caso Emil Nolde

emil nolde pittore

CARSTEN REHDER / DPA / dpa Picture-Alliance
 

Dipinti di Emil Nolde

Ufficialmente si tratta di un prestito, ma la storia che accompagna i due dipinti prelevati da qualche giorno dalla stanza della cancelliera tedesca Angela Merkel per essere restituiti alla Prussian Cultural Heritage Foundation, è molto più intrigante.

I due quadri in questione sono stati realizzati da Emil Nolde, una delle figure artistiche più controverse della storia della pittura. La mostra di Berlino dove sono diretti i quadri per essere esposti, in realtà ne aveva chiesto solo uno, ma è stata la stessa Merkel a ordinare che venissero restituiti alla Fondazione entrambi e voci di corridoio, raccolte dal New York Times, dicono che non si tratterebbe di un prestito e che la cancelliera non ritiene più adeguata la presenza di due opere di Nolde nel suo ufficio.

Il problema infatti non sono le opere ma la figura di Emil Nolde, un pittore che, storia ci dice, essere stato molto vicino al partito operaio nazionalsocialista tedesco dai primi anni ’20. La scelta della Merkel arriva con una tempistica sospetta, appena una settimana dopo che Felix Krämer, storico dell’arte ed esperto di Nolde, ha messo in dubbio in un articolo se “le opere di un nazista impegnato siano appropriate” nella cancelleria.

Il danese Nolde, che in realtà di cognome farebbe Hansen ma che decise di onorare le sue radici firmando con il nome del paesino danese da cui proveniva, prima di morire nel 1956 creò una fondazione, la Ada ed Emil Nolde, per la gestione dei suoi lavori e fino al 2013 per i tedeschi si trattava di un perseguitato dal regime nazista, nonostante la ferma e convinta adesione al partito, avvenuta nel 1934.

Hitler in realtà lo detestava, lo definiva “un maiale”. Il “Fuhrer” credeva che la sua arte, votata prima all’impressionismo per poi virare verso l’espressionismo, fosse “distante dal popolo”, troppo complessa insomma, troppo eterea, tanto che la sua “La vita di Cristo” fu il fulcro della famigerata mostra “Arte degenerata” del 1937 a Monaco.

Nel 1941 addirittura la Camera di Belle Arti del Reich impose a Nolde di non poter vendere opere o organizzare mostre senza una autorizzazione; cosa che nelle proprie memorie interpreterà come un divieto assoluto di dipingere, denunciando anche “visite” a sorpresa della Gestapo nel suo studio.

In quel periodo Nolde realizzò in gran segreto una serie di piccoli dipinti ad olio che chiamò “Unpainted Pictures”, celebrate nel 1968 dal best seller di Siegfried Lenz “Lezione di tedesco” che ancora oggi è obbligatorio leggere nelle scuole tedesche. Il libro di Lenz, evidentemente ispirato a Nolde, fu fondamentale per il revisionismo della figura del pittore danese, dato che finì in mano a una generazione, quella appunto della fine degli anni ’60, in totale rivolta contro quella dei genitori che aveva permesso gli atroci fatti avvenuti durante la seconda guerra mondiale. Così gli “Unpainted Pictures” di Nolde vennero eletti a simbolo della resistenza artistica alla politica di Hitler.

Tutto questo fino al 2013, quando Christian Ring venne messo alla direzione della fondazione Ada ed Emil Nolde e durante i lavori per una mostra commemorativa scoprì la bellezza di circa 25 mila documenti che raccontavano una storia quasi diametralmente opposta a quella conosciuta dal popolo tedesco.

Ring decise di renderli noti, non farlo secondo lui sarebbe stato come rendersi complice di quello che in una intervista con il New York Times descrive come un “riciclaggio della reputazione”. Perché in effetti quei documenti altro non fanno che confermare tutti i sospetti attorno alla figura di Nolde: si, era un convinto sostenitore del partito nazista, così come confermato dalla svastica fieramente esposta fuori dal balcone di casa e sperava addirittura di essere nominato artista ufficiale, e anche se Hitler non era un grande amante dell’impressionismo. Nolde vantava fan come Goebbels e in parecchi di quei documenti manifesta la totale approvazione per l’allontanamento degli ebrei dalla Germania, nonché spietate critiche a molti colleghi ebrei.

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1956, la Fondazione Nolde aveva esposto le “Unpainted Pictures” in una stanza speciale del museo e strappato passaggi antisemiti dalle nuove edizioni delle sue memorie. Nel 1963, un libro sulle “Unpainted Pictures” dell’eminente storico dell’arte tedesco Werner Haftmann, affermava falsamente che Nolde si era allontanato dal nazismo nel 1943.

Aya Soika, professoressa di storia dell’arte al Bard College di Berlino, aveva scritto nel 2003 alla Fondazione perché era venuta in possesso di documenti che rappresentavano un’altra macchia nella reputazione del pittore: l’aver segnalato al ministero della propaganda il collega Max Pechstein come ebreo. Quella email, che non aveva avuto risposta, venne ritrovata tra quei 25 mila documenti che servivano a coprire l’oscuro passato di Nolde. Nel 2016 la fondazione non potè fare a meno di ammettere gli “errori di giudizio” commessi in passato, aggiornare i testi della mostra permanente ospitata nei suoi spazi e digitalizzare e rendere pubblica online tutta la documentazione che smascherava il revisionismo compiuto sulla figura di Nolde.        

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