Cronaca

La sentenza Sala-Expò, spiegata

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La condanna per falso a sei mesi di carcere convertiti in 45 mila euro di multa non fa male dal punto di vista giuridico e politico perché la prescrizione arriva tra pochi mesi e la legge Severino non si applica a questo reato. Eppure il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, all’epoca dei fatti a capo della macchina organizzativa di Expo, appare prostrato dopo che i giudici lo hanno dichiarato colpevole per avere retrodatato due verbali con cui, nel maggio 2012, vennero sostituiti due componenti della commissione aggiudicatrice per assegnare l’appalto della ‘Piastra’, il più ricco dell’Esposizione.

“È stato processato il mio lavoro e io di lavoro per la comunità ne ho fatto tanto – dice ai cronisti fuori dall’aula – Assicuro ai milanesi che resterò al mio posto per i due anni che restano del mio mandato. Di guardare avanti adesso non me la sento”. A mitigare la sua amarezza arriva l’applicazione da parte dei giudici, presieduti da Paolo Guidi, dell’attenuante “per avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale”.

“Viene applicata di rado – spiega uno dei suoi legali, l’avvocato Salvatore Scuto – e costituisce il riconoscimento del fatto che Sala ha agito nell’interesse esclusivo della collettività'”. Nella requisitoria chiusa con la richiesta di 13 mesi di carcere, anche il pg Massimo Gaballo aveva riconosciuto che Sala non aveva pensato a sé ma al bene di Expo “per velocizzare la realizzazione dell’evento”.

Nel suo esame in aula, il sindaco aveva ricordato quanto era stato difficile per lui entrare a giochi in corso, ereditando ritardi e inefficienze “in un clima di demoralizzazione del personale per una situazione tragica”. Ma aveva anche ammesso, senza giri di parole, di avere firmato quei verbali. “Sono amareggiato di avere fatto, in maniera inconsapevole, una cosa del genere – aveva dichiarato – Ancora oggi non lo sento come uno dei passaggi piu’ rilevanti di Expo, era uno dei tanti problemi che avevamo risolto”.

La sentenza, in attesa delle motivazioni tra 90 giorni, ‘racconta’ che la soluzione adottata, seppure la più efficace per l’andamento dei lavori, era in contrasto con la legge. L’avvocato Scuto parla di un “secondo tempo ancora da giocare” facendo trapelare la possibilità che il suo assistito rinunci alla prescrizione che scatterà a novembre e potrebbe impedire anche la celebrazione dell’appello.

Spetterà al sindaco valutare se cercare fino alla fine un’assoluzione nel merito oppure ‘accontentarsi’ di uscire dalle aule di giustizia dopo essere già stato assolto o archiviato in altre tranche dell’inchiesta sulla ‘Piastra’. È arrivata, nel frattempo, anche l’assoluzione per Angelo Paris, il suo ex ‘braccio destro’, accusato di falso in concorso con Sala ma che non aveva mai apposto alcuna firma e, per questo, gli indizi a suo carico non sono stati ritenuti sufficienti.

Scagionati anche Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, e Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani, la ditta che si aggiudicò l’appalto con un maxi ribasso. Su questa indagine, nel 2014, si era giocata una parte importante dello scontro in procura con l’allora vice Alfredo Robledo che accusava il suo capo Edmondo Bruti Liberati di non volere indagare a fondo sulle presunte irregolarità della gara.

L’episodio per il quale Sala è stato condannato era presente già nelle informative della Guardia di Finanza allegate all’indagine condotta dallo stesso Robledo e finito in una richiesta di archiviazione respinta alla fine del 2016 dal gip Andrea Ghinetti. In seguito, la Procura Generale aveva avocato il fascicolo e oggi ha colto la prima e unica condanna nei diversi procedimenti nati dalla sottrazione dell’inchiesta alla Procura ritenuta inerte nell’esercizio dell’azione penale. Una condanna storica: Sala è il primo sindaco di Milano a essere condannato mentre siede sulla poltrona cittadina più importante.  

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