Cronaca

La relazione tra omicidi volontari e porto d’armi non è per niente scontata

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Rispetto al totale degli omicidi volontari commessi con un’arma da fuoco, soltanto il 5% risulta a carico di detentori autorizzati. Il nostro sistema di controllo dei requisiti psicofisici (il più restrittivo d’Europa) funziona. È questa la notizia che emerge da una ricerca dell’Università La Sapienza di Roma, realizzata da un team coordinato dal professor Paolo De Nardis e intitolata “Sicurezza e legalità: le armi nelle case degli italiani”.

È la prima volta che viene svolto nel nostro paese uno studio approfondito, scientifico, sugli omicidi commessi con armi legalmente detenute. Ma attenzione, l’analisi, che copre un periodo che va dal 2007 al 2017, prende in considerazione solo gli omicidi volontari compiuti sul territorio italiano praticati con armi da fuoco legittimamente detenute da legittimi detentori autorizzati. Quindi dai risultati restano fuori gli omicidi commessi per difesa legittima riconosciuta dall’autorità giudiziaria. Inclusi invece gli omicidi per eccesso, anche colposo, di difesa. Fuori dai conti anche gli omicidi commessi da dipendenti pubblici che, per la natura delle attività svolte, hanno la facoltà di portare un’arma per motivi di servizio (Polizia, Forze Armate, etc.). Ma soprattutto, c’è da sottolineare si legge sulla ricerca, che “non esistono dati ufficiali in merito al numero di armi legalmente detenute in Italia. Ciò dipende dal fatto che la gran parte delle armi esistenti e legalmente detenute sono state denunciate dai proprietari, anche in tempi molto remoti, presso l’ufficio locale di pubblica sicurezza competente per territorio che le ha iscritte sui registri cartacei. Con l’avvento dell’informatizzazione, solo una piccola parte delle armi registrate in pregresso sui registri cartacei sono state caricate nella banca dati del sistema informativo delle Forze di polizia”.

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I risultati della ricerca

La ricerca parte da un breve accenno storico che ci ricorda come le armi, in realtà, solo relativamente da poco tempo sono sparite dalla quotidianità italiana, da quando tv e videogames hanno sdoganato una sorta di violenza che ha portato anche i detentori legali a riflettere, per sicurezza, sul toglierle di mezzo; e da allora sono rimaste etichettate più come oggetto legato al pericolo e alla morte che, per esempio, alla caccia.

Come detto, i risultati sono tutto sommato sono incoraggianti: rispetto al totale degli omicidi volontari commessi con arma da fuoco, solo il 5% risulta a carico di detentori autorizzati. E il dato riguardo gli omicidi sarebbe ancora più basso se si escludessero quelli per alleviare le sofferenze altrui, quindi veri e propri atti di eutanasia. Chi si macchia di omicidio con la propria arma da fuoco detenuta legalmente i dati ci dicono sia un uomo (nel 98,93% dei casi) e spesso supera la sessantina, nel 28,77% delle volte pensionato.

Prevedibilità  degli omicidi

La ricerca rivela un altro dato sul quale sarebbe bene prestare un’attenzione maggiore: nel 45,62% dei casi questo genere di omicidi era prevedibile. Scrivono i ricercatori della Sapienza: “Nel 5,6% dei casi, per esempio, l’agente era stato fatto oggetto di denunce per reati contro la persona o diffide di pubblica sicurezza: ciò nonostante nessuna azione interdittiva è intervenuta. Nel 22% circa dei casi l’agente ha tenuto dei comportamenti pregressi in qualche modo indicatori di una propensione all’abuso delle armi (maltrattamenti non denunciati, atti di intimidazione o di violenza fisica o verbale, etc.) mentre in oltre il 15% dei casi mostrava dei problemi psicologici di rilievo (depressione, paranoia, etc.), e in oltre il 9% dei casi problemi fisici rilevanti. Da non sottovalutare le difficoltà economiche, presenti in oltre il 15% dei casi, che sono state talvolta l’elemento scatenante di eventi particolarmente sanguinosi”.

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Per questo la ricerca suggerisce un monitoraggio più attento, perlomeno per quanto riguarda certi soggetti a rischio, un “alert” che approfondisca i controlli. Intervento che potrebbe valere anche per quanto riguarda le cause di separazione, considerato che il 68% di questi omicidi è di matrice familiare; si suggerisce insomma un’analisi più accurata in quei momenti della vita dove si è più instabili e non fa bene avere un’arma accanto, una certa anzianità compresa. Riguardo le vittime, anche solo per riportare alla fredda realtà dei numeri i ciclici tormentoni di cronaca, il 63% delle volte sono donne si, ma solo nel 5% dei casi si può parlare dei cosiddetti “femminicidi”, quindi “omicidi di donne espressione di violenza di genere”; e si registra solo l’1% di omicidi legati ad atti di razzismo.

I riflettori si accendono spesso più forti del dovuto quando si parla di legittima difesa, se si pensa che solo nel 2,45% dei casi parliamo di omicidio per eccesso di difesa (anche colposo). È evidente che il sistema, per quanto buono, è certamente migliorabile.

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