Cronaca

La crisi delle edicole è davvero irreversibile?

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Diminuiscono inesorabilmente le copie dei quotidiani in edicola. E non è certo una notizia fresca di giornata. In 26 anni hanno lasciato sul terreno circa 5 milioni di copie complessive. Copie non vendute. Circa i tre quarti dal 1992, anno di massima espansione delle vendite: 6.800.000 copie giornaliere, anche grazie alla curiosità intorno all’inchiesta giudiziaria su Tangentopoli. A febbraio 2018 erano invece 1.832.868 (Fonte Fieg). Va da sé, che ne hanno risentito anche le edicole, che un po’ alla volta hanno iniziato a tirare i remi in barca e ad una ad una a chiudere i battenti.

Così se “nel 2001 le edicole vere e proprie, per capirci i chioschi e i negozi che vendevano quasi soltanto giornali, riviste e prodotti editoriali, erano più di 36 mila” si legge in un’inchiesta in due puntate realizzata per l’edizione cartacea de la Repubblica in due puntate il 30 aprile e il 3 maggio a firma Sergio Rizzo, “nel 2017, dicono i dati delle Camere di commercio, ne erano rimaste appena 15.876, ma alla fine dello scorso anno quel numero era sceso ancora a 15.126”. Passando così da una ogni 1.550 abitanti a una ogni 4 mila residenti. Una debàcle. Dati che confermano che “la frana partita una decina d’anni fa con la crisi economica viene giù a precipizio. Settecentocinquanta chiusure in un anno significa che l’ecatombe procede al ritmo di due decessi al giorno”.

Tanto che secondo la Federazione dei giornali oggi le edicole “non sarebbero più di 11 mila”. “Vero è che i giornali non si vendono più soltanto lì, come ricorda il responsabile della Confesercenti Ermanno Anselmi, un tempo edicolante a Livorno: ‘Con la riforma voluta da Pierluigi Bersani a fine anni Novanta si sono aggiunti i bar, i supermercati, le pompe di benzina, gli autogrill. Eravamo arrivati a 41 mila punti vendita. Ma adesso, con la crisi, se ne contano sì e no 27 mila. E per capire la situazione, basti sapere che già nel 2013 il 52 per cento della rete di vendita dei giornali era a rischio chiusura’”.

Eppure era un mestiere ricco quello dell’edicolante. Anche di soddisfazioni. Faticoso per orari, con sveglie all’alba e chiusure ritardate. Alcune edicole restavano aperte anche nel cuore della notte e sfornavano dopo la mezzanotte o più oltre copie di giornale ancora calde di tipografia per lettori curiosi e frementi di notizie e aggiornamenti. Erano anche gli anni degli allegati, delle videocassette abbinate a l’Unità diretta da Walter Veltroni, dei libri, dei gadget, delle copie abbinate ai biglietti della lotteria, del Bingo e dei Replay, dei giochi. “Si sgobbava, ma alla fine del mese portavo a casa tre milioni. Di lire, ovvio». Un buono stipendio da funzionario di banca. Altri tempi” ricorda Anselmi.

I numeri di un tracollo

E oggi? “Oggi – si legge ancora nell’inchiesta di la Repubblica – il fatturato della vendita di giornali e altri prodotti editoriali nelle edicole tocca a malapena 1,8 miliardi l’anno, contro i 5 miliardi e mezzo del 2005: un terzo. Se si divide la somma per i 27 mila presunti punti vendita, si arriva alla misera cifra di circa 200 euro al giorno di fatturato pro capite, che rapportata al 18,70 per cento di aggio sul prezzo di copertina spettante all’edicolante, fa poco più di 35 euro al giorno. Al lordo delle spese, e per alzarsi ogni mattina alle quattro e mezza. Un margine di guadagno ridicolo. E senza buonuscita”.

Perché una volta, spiega Diego Averna della Cisl, c’era anche quella: ‘Chi decideva di smettere vendeva l’edicola e ci faceva una discreta somma. Era una specie di liquidazione’. Le quotazioni erano di tutto rispetto: si arrivava anche a duecento, trecentomila euro. ‘Oggi, e anche a Milano’, continua Averna, ‘le edicole non si vendono perché chiudono. Per chi riesce a incassare tre, quattro o cinquemila euro è tutto grasso che cola’. Per non parlare di chi alla liquidazione preferiva una bella pensione, semplicemente affittando l’edicola”.

Possedere un’edicola era una vera fortuna e, potremmo aggiungere noi, che non mancano i ricordi di qualche direttore che negli anni d’oro dei giornali, arrivato a fine rapporto di lavoro s’è sentito proporre dal proprio editore di ottenere parte della liquidazione direttamente in denaro e l’altra sotto la forma della proprietà di un’edicola o della sua licenza.

Certo, poi ci sono i piccoli centri, i borghi inerpicati sulle montagne di cui l’Italia è costellata. E aggiunge Rizzo: “La desertificazione ha investito la parte più debole e anziana della popolazione, quella dei paesi e dei centri isolati. In Italia i comuni con meno di 5 mila abitanti sono 5.497, ovvero il 69,5 per cento del totale. E quasi 2 mila, per l’esattezza 1.934, non arrivano a mille residenti. Tanto basta per spiegare quanto l’impatto della crisi sia stato devastante”.

“In quei paesi l’edicola era uno dei pilastri della vita civile, insieme all’ufficio postale, alla caserma dei carabinieri e alla chiesa”, prosegue, “rappresentava il presidio dell’informazione, considerando che la popolazione dei piccoli comuni è più anziana e non ha facile accesso a Internet come nelle città. Qui la televisione e i giornali sono le fonti principali, e quando scompare l’edicola è come se sparisse anche un pezzo di democrazia. Non sappiamo esattamente quanti centri abitati, magari inerpicati sulle montagne, siano rimasti senza giornali. Non c’è una statistica, ma per farsi un’idea è sufficiente confrontare il numero delle presunte edicole aperte ancora nel 2017 per provincia con il numero dei comuni di quella provincia”.

“’In alcune aree del Paese ne scompaiono anche al ritmo di quattro o cinque al giorno’, lamenta Andrea Innocenti, il presidente del sindacato autonomo Snag legato alla Confcommercio. ‘Una decina d’anni fa la mia edicola di Firenze’, ricorda, ‘vendeva mille quotidiani al giorno. Oggi quando va bene sono 170, forse 180’. E una situazione nella quale si lotta anche per la singola copia presenta anche aspetti da guerra fra poveri”.

E così, rileva la seconda parte della puntata dell’inchiesta, le edicole, bene o male, si stanno trasformando. Perché “le edicole che vendono solo giornali e riviste”, dice Giuseppe Marchica, il segretario del sindacato giornalai della Cgil, ‘hanno ormai in media un utile inferiore alle mille euro al mese. Ditemi voi se è una cosa sostenibile’. Da una parte i monopolisti della distribuzione. Dall’altra i prezzi di vendita sempre più bassi di talune pubblicazioni comprimono i ricavi” si legge.

Una seconda vita è possibile?

“Il fatto è che oggi le edicole sono allo stremo, nonostante la miriade di tentativi fatti per allargare il giro d’affari. Si cominciò addirittura nel 2001, quando i giornali ancora tiravano, con la proposta di fargli vendere anche le sigarette. Affondata dalla protesta dei tabaccai. Intanto il sindaco di Roma Walter Veltroni consentiva di vendere biglietti del teatro e dello stadio, giocattoli, pellicole fotografiche. Mentre già ovunque si vendevano i biglietti dell’autobus, e qualcuno anche i biglietti della lotteria. Dieci anni più tardi, a Milano, pensarono di trasformarle in infopoint. Poi un accordo per fargli smistare pacchi e corrispondenza. Fino all’idea, in Liguria, di farle diventare quasi pasticcerie. Oppure, ancora a Milano, luoghi per degustare i cibi tradizionali. Senza arrestare la morìa”.

C’era anche chi aveva pensato di digitalizzarle, le edicole, per evidenziare la tracciabilità delle vendite e delle rese dei giornali con l’introduzione di un sistema informatico che avrebbe di conseguenza messo in rete tutta la filiera, edicole e rivendite comprese. Ma poi della legge non se ne fece più nulla. Interverrà ora il governo a sostegno del settore? “O si mettono sul tavolo le risorse per affrontare questa fase difficile sperando che le misure di cui si parla la possano far superare, o non ci saranno prospettive. Nemmeno per gli editori e i distributori. Teniamo presente che quando chiude una edicola, le copie che si sono perdute non vengono recuperate”, avverte Marchica. Qui si tocca con mano quanto c’entri la democrazia.

Eppure qualche piccolo tentativo di rinascita non manca. Come l’Edicola 518 di Perugia, che in appena 4 metri quadrati ha tentato di fare una sua rivoluzione culturale, specializzandosi in editoria di qualità e facendola diventare un chiosco 2.0. O come Erno, sorta di recente nel cuore di Roma, nel rione di Borgo Pio, animatori quattro giovani ragazzi, con giornali di qualità, vino e sfizi da consumare in piazzetta. Oppure le nuove nove edicole inaugurate a Firenze e raccontate dall’edizione cartacea de la Repubblica di Firenze lo scorso 24 aprile. Un’inversione di tendenza? Piccoli segnali. Da studiare e coltivare. 

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