Cronaca

Il ricordo di Elena “la poetessa”, morta bruciata a 19 anni in ospedale

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Fonte: profilo Facebook Gege Show Silva

“Le nostre strada sono sconnesse/ i nostri figli ridotti in schiavitù / I nostri cuori senza amore/ Ho paura di restare”. Nei versi della poesia intitolata ‘Terra de bandidos’ con cui vinse un premio, Elena Casetto, morta carbonizzata a 19 anni in un letto del reparto di psichiatria dell’ospedale “Papa Giovanni” di Bergamo, esprimeva la paura di restare in Brasile, il paese di origine della madre.

La sua fine invece è arrivata il 13 agosto in Italia, dove aveva raggiunto la madre India, 47 anni, in circostanze ancora tutta da chiarire. È in corso un’indagine della Procura di Bergamo per omicidio colposo a carico di ignoti e sia il ‘Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale, che si è costituito parte offesa nel procedimento, sia la Regione Lombardia, attraverso una commissione di verifica, hanno chiesto di accertare la verità. “Elena sognava di studiare filosofia ad Amsterdam o a Londra e dedicarsi alla poesia e alla musica – racconta all’AGI Gege Silva, amico brasiliano della ragazza e della mamma, che non lascia un attimo in questi giorni di dolore – Ha vissuto per sette anni a Salvador de Bahia da sola, studiava ed era autonoma”.

Il padre di Elena, italo-svizzero, è morto nel 2012: “Non mi risulta che abbia mai tentato di suicidarsi quando era lì – ha detto ancora Silva – come è invece stato scritto dai giornali, anche se soffriva di ansia in modo molto forte”. Nei mesi scorsi, la madre l’aveva convinta a raggiungerla in Italia e avevano affittato un appartamento a Osio Sopra, vicino a Bergamo.

L’8 agosto Elena ha tentato il suicidio. “Voleva buttarsi giù da un ponte ma è stata fermata dai carabinieri. Ricoverata prima a Brescia, è stata poi portata nell’ospedale di Bergamo. Quando la mamma è andata a trovarla, l’ha trovata in sedia a rotelle e imbottita di farmaci e ha chiesto ai medici di poterla portare via da lì. Per spiegare com’era Elena, un giorno ha domandato alla madre di portarle da casa i trucchi perché voleva sistemare le altre pazienti. L’11 agosto, Elena aveva implorato la madre di essere portata a casa dicendole di non essere pazza e che si sentiva trattata male. Questo messaggio si trova nel cellulare della ragazza, sequestrato dopo la sua morte”.

La mattina del 13 agosto Elena prova di nuovo a togliersi la vita, stavolta stringendosi un lenzuolo al collo. Viene salvata da due infermieri che decidono di sedarla e contenerla. In queste situazioni, il protocollo prevede che ogni 15 minuti il paziente venga sorvegliato visivamente e ogni 30 minuti per controllare i parametri vitali. Da fonti ospedaliere si è appreso che l’allarme anti-incendio è scattato intorno alle 10. Elena è stata trovata dai Vigili del Fuoco bruciata nel suo letto. “Mi è stato riferito che aveva un braccio e una gamba ancora legati – racconta Gege – tanto che io non me la sono sentita di fare il riconoscimento che mi era stato chiesto. L’incombenza è toccata all’avvocato”.

Dall’autopsia è emerso che la ragazza aveva sul corpo un accendino bruciato, col quale potrebbe avere appiccato le fiamme, anche se è da capire come sia stato possibile che l’abbia fatto da legata. Va tenuto anche conto che i materiali nella stanza erano ignifughi. Nei reparti di psichiatria, si può fumare ma sotto sorveglianza ed è possibile che la ragazza abbia nascosto l’accendino negli indumenti intimi.

L’indagine condotta dal pm Letizia Ruggeri, che ha sequestrato per qualche giorno il reparto di psichiatria, dovrà chiarire se ci siano stati deficit da parte del personale sanitario o se qualcosa non abbia funzionato nella prevenzione e nella gestione dell’incendio a livello di organizzazione.

“La morte di una giovane donna ci addolora profondamente – hanno fatto sapere dall’ospedale – abbiamo espresso alla famiglia tutta la nostra vicinanza e continueremo a stare vicini a chi ha vissuto questo dramma. Attendiamo l’esito degli accertamenti in corso”. Molte persone si sono rivolte ai familiari per rivolgere solidarietà e pagare le spese del funerale di Elena. La sua morte ha riattivato il dibattito sulla contenzione dei malati e sulla sorveglianza negli ospedali.

I promotori della campagna nazionale “E tu slegalo subito” hanno scritto una lettera alle autorità regionali e governative chiamate a vigilare sulla salute in cui riconoscono “le difficoltà nelle quali versano gli operatori dei servizi, che lavorano spesso in condizioni di carenza di organico” ma sottolineano che “se la giovane Elena non fosse stata legata non avrebbe trovato quell’orribile morte”.

“Ci ricorderemo di te felice, piena di gioia e con la certezza che l’amore per il prossimo, la natura, la musica, la poesia, possa farci vivere nella speranza di un mondo migliore”, è stato il salute della madre sul suo profilo Facebook. Ha pubblicato delle foto sorridenti della figlia che sul social network si era iscritta ma senza mai svelare il suo volto. 

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