Cronaca

Il manager controcorrente che non vuole riaprire i locali della movida

“Non serve riaprire subito nell’emergenza, serve piuttosto usare questo tempo per lavorare ad una legge quadro sullo spettacolo e l’intrattenimento dal vivo”. A parlare all’AGI è Andrea Pontiroli, fondatore della Santeria, un’istituzione milanese nel campo dei concerti, dell’intrattenimento e della cultura, con due locali, uno in via Paladini e uno in viale Toscana.     

Non solo un luogo dove ballare, bere e divertirsi, ma anche un network composto da studio grafico, teatro, scuola di formazione artistica, negozio, co-working, sale eventi e molto altro. La Santeria è uno di quei posti ibridi, che smentiscono il concetto di divertimento, un po’ ‘trash’, ereditato dagli anni ’90: ci si può andare per la presentazione di un disco e rimanere a ballare fino a notte.      

Naturalmente il ‘prodotto’ divertimento, ma anche ‘aggregazione’ e ‘condivisione’ ha dietro un’azienda, che fino a prima del lockdown aveva 83 dipendenti: oggi 60 di loro sono in cassa integrazione, 40 tra tecnici e addetti alla sicurezza, in regime di collaborazione, hanno perso il lavoro. ​E’ per questo che il manager, Pontiroli – già a capo del Magnolia (il più grande circolo Arci e discoteca all’aperto di Milano) – crede che “avere fretta di iniziare” la fase 2 per queste attività “sia pura follia”:

“Lo spettacolo è un momento in cui le persone si sentono a proprio agio e senza rischi; non immagino un concerto dove si sta ad un metro, con le mascherine, senza poter bere neanche una birra”, spiega.

La proposta di Pontiroli è quella di sfruttare la crisi Covid per risolvere, una volta per tutte, i problemi atavici dello spettacolo dal vivo, che risiedono soprattutto nella burocrazia. Per questo l’idea è di “riunire un tavolo di esperti che scriva un vero testo di legge da sottoporre alle firme dei cittadini: ne servono 50mila, ma non sarebbe difficile raggiungerli con le nostre reti; poi va presentato alla politica”. 

Primo punto da affrontare è la Siae: “Un meccanismo farraginoso, che ad oggi si comporta come un’agenzia di controllo e pervade tutto: dalla vendita di biglietti, ai diritti sulla musica che si ascolta all’interno dei supermercati, fino agli sponsor degli eventi”. La proposta di Pontiroli è di “liberalizzare e regolamentare; introdurre un meccanismo di competizione che spinga la Siae a migliorarsi e digitalizzarsi”. ​

Secondo punto: dare un codice Ateco allo spettacolo dal vivo e alle aziende che li producono: “Regolarmente veniamo associati o allo sport o al terzo settore, con cui non abbiamo niente a che fare”, lamenta. 

Terzo punto: eliminare alcune incongruenze evidenti “come il fatto che l’Iva sui libri sia al 4%, perché considerati prodotti culturali, mentre i dischi mantengono il tasso del 22%”, o che “i concerti abbiano un’aliquota al 10% mentre i dj set al 22%”. 

Ci sono infine le “gabole burocratiche per cui si può far entrare più gente per metro quadro in discoteca, dove ci si muove, che in un concerto, dove tendenzialmente si sta fermi”. Ad aggravare la situazione “la cancellazione dei voucher per lavori che per loro natura sono discontinui, come quelli che ruotano attorno ai festival: una bandierina per accontentare i sindacati” la definisce Pontiroli. 

E poi alcuni “retaggi culturali che hanno portato a leggi assurde come quella che vieta di vendere alcool dopo le 3 di notte: dettame che pochi rispettano, e che provoca un danno fiscale, perché si finisce per vendere da bere senza fare gli scontrini”. 

Insomma, orpelli che “tutti insieme rendevano già prima insostenibile questo lavoro, riducendo al minimo i margini, e che sarebbe impossibile sopportare adesso” con l’aggiunta del distanziamento sociale. 

Se una colpa c’è, da parte del mondo degli eventi “di cui soprattutto Milano vive” è la “mancanza di rappresentanza”: “E’ su questo che dobbiamo lavorare adesso, per arrivare, magari a settembre, ad avere una legge fatta bene, che risolva affronti questi temi una volta per tutte in modo globale”. 

E’ escluso dunque, a suo avviso, di tornare in pista prima, “a meno che non ci siano le condizioni”. Trattare la crisi Covid in modo emergenziale “non porterebbe a nulla: non ci servono i soldi a pioggia adesso, sarebbe meglio fare in modo che quando riapriremo potremo riassumere, investire e lavorare meglio”, conclude. 

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