Cronaca

Il caldo ha risvegliato le api troppo presto. E non è un bene

La temperature e le ripetute giornate di sole di questo febbraio anomalo hanno risvegliato in anticipo di almeno un mese le api presenti sul territorio nazionale che sono state ingannate dalla finta primavera e ora, rischiano di essere duramente colpite dal ritorno del freddo.

Lo afferma la Coldiretti che mette in guardia dal rischio di una compromissione della produzione di miele e frutta per via degli effetti di un inverno bollente con una temperatura che, secondo le elaborazioni su dati Isac-Cnr relativi al mesi di dicembre e gennaio, fino ad ora in Italia è stata superiore di 1,65 gradi rispetto alla media storica, 

Le temperature sopra i 15 gradi hanno fatto uscire le api dal milione e mezzo di alveari presenti in Italia che hanno subito ricominciato il loro prezioso lavoro di bottinatura ed impollinazione ma ora – sottolinea la Coldiretti – il rischio è che ritorni di freddo possano far gelare i fiori e anche far morire parte delle api. 

Un pericolo grave per la biodiversità considerato che le api sono un indicatore dello stato di salute dell’ambiente e servono al lavoro degli agricoltori con l’impollinazione dei fiori. In media una singola ape – precisa la Coldiretti – visita in genere circa 7000 fiori al giorno e ci vogliono quattro milioni di visite floreali per produrre un chilogrammo di miele. Tre colture alimentari su quattro dipendono in una certa misura per resa e qualità dall’impollinazione dalle api e  tra queste, ci sono mele, pere, fragole, ciliegie, cocomeri e meloni.

Ma a rischio è anche il miele dopo una delle peggiori annate con la produzione nazionale praticamente dimezzata attorno a 12 milioni di chili del 2019, mentre le importazioni sono stimate pari a 25 milioni di chili nello stesso anno. E a questo proposito, Coldiretti ricorda che  “per evitare di portare a tavola prodotti provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità, occorre verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, agriturismi o nei mercati di Campagna Amica”.

Il miele prodotto sul territorio nazionale dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina) è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria fortemente sostenuta dalla Coldiretti. La parola ‘Italia’ deve essere presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il prodotto provenga da più Paesi dell’Unione Europea, l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della CE”. Se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della CE”, e ancora, se si tratta di un mix va scritto: “miscela di mieli originari e non originari della CE”. “

In Italia, spiega la Coldiretti, esistono più di 50 varietà di miele a seconda del tipo di “pascolo” delle api: dal miele di acacia al millefiori (che è tra i piu’ diffusi), da quello di arancia a quello di castagno (più scuro e amarognolo), dal miele di tiglio a quello di melata, fino ai mieli da piante aromatiche come la lavanda, il timo e il rosmarino. Nelle campagne italiane – conclude la Coldiretti – ci sono 1,5 milioni gli alveari curati da sessantamila apicoltori di cui circa 2/3 produce per autoconsumo.

L’esperto del Cnr: “Le api non si sono riposate abbastanza”

“Ha ragione la Coldiretti a lanciare un allarme per le api e di conseguenza, per la produzione di miele e frutta”, ha detto all’AGI Emilio Guerrieri, dirigente di ricerca  dell’Istituto per la Produzione Sostenibile delle Piante (IPSP) del Cnr.  “È mancata una stagione fredda vera e propria, le api hanno subito una riduzione della loro non attività molto forte. Non si sono riposate abbastanza e poi, se i fiori muoiono a causa di una possibile gelata, gli insetti rischiano di averne dopo troppo pochi a disposizione con conseguenti ripercussioni sulle produzioni di frutta e miele” .

 “D’inverno – ha spiegato l’esperto – con le basse temperature, le api se ne stanno nei loro alveari. Ma quando inizia a fare più caldo, gli insetti iniziano a uscire e quest’anno con le temperature anomale, hanno subito un forte stress. Non si sono riposate abbastanza perché fino allo scorso novembre ha fatto caldo. Le api poi, appena torna il freddo, cosa che potrebbe accadere nei  prossimi giorni, volano a rinchiudersi nel loro alveare per poi riuscire, non appena si presenta nuovamente la possibilità di bottinare e quindi con un clima gradevole. Il rischio però, è che le fioriture di questi giorni, avvenute anticipatamente, non ci siano più e le api non sapranno dove andare. La bruciatura dei fiori, se vogliamo definirla così, è il problema principale perché riduce la  possibilità di bottinare. In conclusione, non parlerei tanto di pericolo moria di api  – sottolinea – perché questi insetti sanno come comportarsi rientrando in alveare, anche se per loro, tutto questo aggiunge stress”.

Il problema delle monocolture

E anche gli apicoltori, ha spiegato ancora l’esperto, “sanno come comportarsi in questi casi. Hanno a disposizione strumenti per rafforzare la colonia e dare nutrimento ma se questa situazione, a causa dei cambiamenti climatici, perdura, allora le stesse colonie vanno incontro a indebolimento. Speriamo che in questa primavera, ci siano in giro veri e propri eserciti di api, altrimenti non mangeremo frutta. Le colonie devono essere forti e deve esserci disponibilità di pollini, zucchero e nettare. Purtroppo, le aree rifugio si vanno sempre più riducendo anche a causa delle monocolture che non favoriscono la biodiversità.

La biodiversità vegetale infatti, si è ridotta e le api hanno difficoltà oggettive: se abbiamo 500 ettari tutti coltivati a melo che fioriscono a marzo, dopo non ci saranno fiori e le api, per bottinare dovranno andare ancora più lontano”.

Come fare? “Per esempio – spiega ancora Guerrieri – promuovendo, all’interno delle monocolture, zone di supporto con impianto di altre specie vegetali poste magari ai lati come già succede in Francia, nei vigneti. Piante aromatiche o spontanee che poi possono essere usate in cosmesi o immesse sul mercato e diventare fonte di reddito. Una rivoluzione insomma. Ma non è facile introdurre questo sistema anche se si sta diffondendo fra gli agricoltori italiani. Ricordiamoci che l’agricoltura non è un’opera pia. Queste tecniche – ha concluso –  tolgono superficie, non sono facili da proporre”

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